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Doriano Marangon

Categories: AIF,Interviste

DORIANO MARANGON

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Professore di Comportamento Organizzativo MIP – Politecnico di Milano
Partner HCS Consulting

Micro e macro interagiscono costantemente generando motivazioni, impegno e partecipazione della persona. Per questi motivi il formatore deve sperimentare sempre più approcci sistemici e strumenti innovativi, anche associando differenti discipline. La formazione è sempre più esperienziale, e il luogo ideale dove generare apprendimenti in grado di produrre cambiamenti personali e professionali coerenti con le dinamiche di sviluppo dello scenario socio-economico e le esigenze competitive delle organizzazioni.
Quali sono i metodi e gli strumenti a disposizione del formatore in grado di migliorare l’interazione tra scenario sociale e competitivo, organizzazione e persona al fine di arrivare alla giusta comprensione delle dinamiche economiche e industriali, all’uso consapevole della tecnologia e al corretto sviluppo personale?

Alla ricerca di un umanesimo perduto

“L’uomo e l’organizzazione sono un equilibrio armonico”. Se trasformiamo quest’affermazione in una domanda, ci troviamo costretti a rispondere con un no secco. Oggi, nella maggior parte dei casi, le organizzazioni non sono per niente in equilibrio con le necessità dell’uomo. La pressione presente nel mondo competitivo costringe le organizzazioni a strutturarsi con modalità che sono il contrario di un equilibrio armonico. Basti pensare ad alcuni termini di moda nel contesto manageriale attuale, parole come execution e il conseguente engagement necessario, ci dimostrano questa distanza. Pensiamo all’assonanza di execution con il fordismo industriale, – “non pensare, l’abbiamo già fatto noi, il tuo compito è eseguire”- e alla necessità di creare un forte engagement -“come faccio a far si che le persone mi diano il massimo anche se non ho quasi nulla da mettere sulla bilancia per uno scambio” – senza il quale le performance non arrivano.
Potremmo spingerci a dire che in realtà oggi l’uomo e l’organizzazione sono entrati in dissonanza. Una dissonanza sociale che credevamo terminata qualche decennio fa, ma che ritorna, per restare nella metafora, non più nelle sale da concerto bensì nelle fabbriche e negli uffici. Dove le persone che lavorano all’interno delle organizzazioni, delle imprese, delle aziende non trovano quella coerenza tra “fini industriali e uomini” tanto cara a Adriano Olivetti, che in alcuni momenti della seconda metà del secolo scorso abbiamo avuto la fortuna di vedere e sentire, nei valori espressi e nei comportamenti quotidiani.
A questo punto dobbiamo porci una seconda domanda: come ritrovare questa armonia, questa coerenza tra uomo e organizzazione? È qui che s’innesta la possibilità e la positività della situazione. Chi si occupa di Formazione, con la effe maiuscola, può contribuire a questo ritorno, affiancato da chi si occupa di affari. Ecco qualche idea:
1. Mantenere una grande attenzione verso le competenze delle persone. Le competenze invecchiano velocemente in un mondo digitale. Le organizzazioni devono saper identificare e intercettare queste nuove competenze; i formatori dal canto loro devono realizzare percorsi, applicando tutti i fondamentali della professione, che grazie alle tecnologie digitali, permettano di sviluppare in tempi brevi queste competenze tecniche.
2. Sviluppare l’attitudine di accettare il rischio. Viviamo in un mondo e in contesti ad alta turbolenza e con livelli di incertezza che potremmo definire medioevali, se le persone che a diverso titolo lavorano nelle organizzazioni non imparano ad affrontare situazioni di imprevedibilità e a mantenere il distacco e la freddezza necessarie non si potrà fare molto. Stiamo parlando di attitudini che sicuramente vanno sviluppate con approcci diversi dalle consuete aule di formazione, e che obbligano a innovare nelle metodologie.
3. Apprendere a “giocare” con il proprio destino. Rendersi conto che bisogna spingere per davvero verso l’empowerment personale. Se ormai le organizzazioni non sono in grado di prospettare certezze sul futuro professionale delle persone che ne fanno parte, devono essere sincere e trasparenti e puntare su uno sviluppo degli individui che tenga conto non solo delle esigenze organizzative, senza dimenticare di fornire la possibilità di costruire nuove prospettive professionali dando una risposta alle passioni e ai talenti delle persone.
4. Ricercare l’eccellenza. Troppo spesso ci troviamo di fronte persone e organizzazioni che operano a livelli di incompetenza e di incapacità evidenti. Se “l’eccellenza è un’abitudine e non un atto” (Aristotele), questo vuol dire che la Formazione può contribuire a costruire queste buone abitudini, in modo che non siano considerate delle eccezioni ma la norma. Qui l’impegno dovrà essere comune in chi si occupa di formazione, per sviluppare comportamenti adeguati nei manager; e nei manager stessi, che siano in grado di diventare mentori e modelli da emulare al tempo stesso. Come accadeva nelle splendide botteghe d’arte del Rinascimento, dove la trasmissione delle competenze e lo sviluppo delle capacità e del talento andava di pari passo con l’applicazione quotidiana dell’eccellenza.
Che sia venuto il momento di contribuire a far rinascere un nuovo Umanesimo?


 

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