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Federica Bariatti

Categories: AIF,Interviste

FEDERICA BARIATTI

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consulente organizzativo

L’innovazione tecnologica sta trasformando le relazioni umane, e il cambiamento è stato percepito anche all’interno delle organizzazioni e delle aziende con cui collaboriamo. La formazione deve innovare metodi, strumenti e spazi al fine di valorizzare la persona in un contesto sempre più digitalizzato. Quali sono i principali cambiamenti da realizzare? Il cambiamento porta con sé elementi positivi? e quali?
Le nuove tecnologie stanno liberando l’uomo dal concetto del lavoro come fatica (ad esempio l’utilizzo dei robot) e gli permettono di archiviare e gestire una quantità di dati che il cervello umano non sarebbe in grado di analizzare (ad esempio i data base, esistono liste di risposte ai problemi anche nei servizi alla clientela). Il valore delle conoscenze possedute diminuisce, mentre aumenta il valore delle competenze. Queste dinamiche nell’organizzazione del lavoro possono condurre ad uno scenario di tipo hobbesiano: una corsa all’acquisizione di conoscenze e competenze a fronte di una massa con poca scolarizzazione. Che cosa segna la differenza? La capacità di trovare ed organizzare le informazioni, le capacità relazionali, la visione del mondo e l’etica. Per valorizzare le persone dovremmo concentrarci sullo sviluppare le capacità di pensiero e di analisi, la consapevolezza di sé nelle relazioni interpersonali, ma anche il sentimento morale.
La tecnologia ci fornisce molti strumenti per implementare la formazione nelle aziende, dai corsi on line alle piattaforme di apprendimento sociale. All’interno di queste piattaforme gli utenti spesso reiterano inconsapevolmente le dinamiche relazionali del mondo reale, acquisendo nuove conoscenze, ma non sempre sviluppando nuovi apprendimenti, ovvero ampliando le proprie capacità di agire consapevolmente.
Un aspetto importante della formazione è quello di sviluppare il meta-apprendimento, ovvero la capacità di riportare i propri apprendimenti in contesti diversi e di essere consapevoli dei processi e delle logiche che inconsciamente guidano il nostro modo di conoscere la realtà. Per esempio possiamo apprendere nuove tecniche di comunicazione dal cliente, possiamo renderci conto che queste conoscenze possono esserci utili nella vita quotidiana e possiamo, in base alla nostra visione del mondo, decidere se applicarle a quel contesto. Possiamo, infine, chiederci se tutta questa operazione è eticamente corretta oppure no.

 

I sistemi di intelligenza artificiale sono in grado di imparare prospettando nuove forme di vita, cioè entità sensienti di cui non possiamo prevedere, né tanto meno guidare, lo sviluppo. Come questo processo di rapido sviluppo tecnologico, che riguarda la produzione dell’intelligenza collettiva si può legare a etica e valorizzazione della cultura nei processi organizzativi aziendali? In che modo la formazione può supportare la persona affinché possa contribuire all’innovazione senza subirla passivamente?
Le innovazioni tecnologiche e l’avvento dell’intelligenza artificiale creano forti e fondate preoccupazioni in merito al futuro dell’occupazione e delle aziende come le intendiamo oggi. Allo stesso tempo sono proprio queste preoccupazioni che ci spingono a riflettere su noi stessi e sul concetto di umanità.
Una strategia per legare etica e valorizzazione della cultura è quella di individuare in maniera critica gli elementi che hanno portato sviluppo sociale ed economico e quelli che hanno determinato l’insorgere delle crisi (economica, tecnologica, politica), sviluppando una riflessione sull’opportunità di proseguire con certi modelli di sviluppo e di redistribuzione della ricchezza. Un altro aspetto è quello di riconsiderare, in un ottica non strettamente economica, quali possono essere i valori aggiunti delle persone in termini di creatività, relazioni e sviluppo delle norme sociali nell’ambito del lavoro.
Considero poco probabile un utilizzo dell’intelligenza artificiale in qualità di sostituto dell’essere umano nelle professioni che richiedono elevata discrezionalità etica e relazionale, quindi se questi dispositivi potranno essere sfruttati come supporto (ad esempio nella movimentazione dei degenti ospedalieri, nel supporto alle attività quotidiane fare la spesa, leggere il giornale), difficilmente potranno sostituire l’aspetto relazionale insito in molte professioni di cura.
La formazione può supportare questo processo mettendo al centro la persona e focalizzandosi sullo sviluppo delle capacità decisionali e della riflessione etica. Solo attraverso questo passaggio saremo in grado di governare l’avanzamento tecnologico e garantire uno sviluppo economico e sociale.

 

Ieri hai detto domani. Oggi i giovani sono il futuro della nostra società, la crisi e la scarsità di investimenti rischiano di contrapporre la dimensione personale della realizzazione del sé a quella della competitività delle imprese e dei territori. In che maniera la formazione potrà far conciliare questi due estremi enfatizzando i valori strategici dell’impresa con la valorizzazione della persona nella sua essenza? In che modo la formazione può costruire una situazione ideale in azienda generando entusiasmo e partecipazione?
Il contesto della crisi economica ed ora del conflitto con le altre culture stanno concentrando le nostre energie sulla risoluzione dei problemi piuttosto che sulla generazione del nuovo. Risolvere, in senso etimologico deriva da solvère, ‘sciogliere’, liberare dai legami, porta in sé un idea di morte piuttosto che di vita poiché tende a banalizzare la realtà assimilandola ad un problema matematico.
Recuperare l’aspetto generativo e la dialettica tra interessi della persona e dell’impresa vuol dire porsi nell’ottica di un divenire continuo teso alla realizzazione di un sogno. Quello che manca alle nostre imprese è il sogno, l’idea che stiamo costruendo qualcosa che esprime la nostra umanità e che genera un valore per noi e per gli altri.
La formazione può supportare questo processo aiutandoci a non identificarci eccessivamente con il ruolo professionale che ricopriamo (non è detto che durerà per sempre), e sviluppando la nostra capacità di essere in formazione, ovvero di percepirci come soggetti che continuamente crescono e si trasformano sulla base delle esperienze personali e professionali che vivono. La formazione dovrebbe intervenire non solo nella fase di acquisizione delle competenze necessarie ad espletare un compito o ricoprire un ruolo, ma anche sulla nostra capacità di interpretare e rielaborare il nostro vissuto. In questo modo possiamo conciliare due aspetti: quello dello sviluppo delle impresa che fruisce delle nostre competenze e quello dello sviluppo dell’identità della persona.
Anche le aziende devono divenire consapevoli della loro impossibilità di rispondere alle attese dei lavoratori (stabilità, crescita professionale, sviluppo del ruolo), ponendosi in un ottica di trasformazione continua. La formazione dovrebbe divenire un processo sistematico all’interno della aziende per ridurre il gap esistente tra alta specializzazione e professioni generiche, per supportare le transizioni del personale (placement ed outplacement), per supportare lo sviluppo della persona nella sua globalità.


 

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