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Federico Polidori

Categories: AIF,Interviste

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FEDERICO POLIDORI


Training Specialist
A.D. Global Solution Srl

Lo scenario economico e sociale è in continua e rapida evoluzione: la trasformazione digitale ha abbracciato quasi tutti i settori ed è protagonista nei principali mercati. Oggi tuttavia la crescita delle complessità e il timore nei confronti della tecnologia, sempre più pervasiva, sembrano ostacolare il percorso che porta al sviluppo della persona, in un contesto di interazione con le organizzazioni. Il fattore umano è riconosciuto come la soft-skill principale per il moto dell’evoluzione della nostra specie, ma ci sono ancora perplessità sulla direzione che deve prendere per portare a una nuova, vera innovazione. Come può la formazione incrementare l’impatto del fattore umano per infondere alle persone e alle organizzazioni il coraggio di affrontare nuove sfide in un contesto così dinamico?

Dal mio punto di vista, trovo necessario (re) imparare a fermarsi, almeno in un arco temporale che consenta all’intervento formativo di attecchire in quel terreno fertile di enti ed aziende che vedono le Persone (non solo il mercato) come sistemi complessi da valorizzare e di cui prendersi cura, proprio in funzione di un turbolento e imprevedibile scenario socioeconomico. La trasformazione digitale sta radicalmente cambiando sia la percezione sia l’utilizzo del tempo a disposizione, per cui, se la tecnologia, da un lato, permette maggiori implementazioni a breve scadenza per una massima efficienza, dall’altro, impone all’individuo un adeguamento strumentale che, spesso, diventa un criterio selettivo con il quale si plasma il mercato. Forse, può risultare più comodo lasciarsi cullare da un’onda digitale che, in effetti, affascina, richiama, evolve senza fine; forse, l’accelerazione è davvero la risposta comportamentale necessaria da apprendere per adeguarsi al futuro. Forse. Ciò che mi lascia perplesso è che il fattore umano venga di frequente accantonato, spremuto da meccanismi organizzativi che lo abilitano all’uso di nuove tecnologie per produrre meglio e di più, delegando ai weekend la conversione dallo schermo digitale a quello umano, se capita. Si parla giustamente di coraggio di affrontare nuove sfide in un contesto decisamente dinamico e, a volte, all’apparenza incontrollabile, nel senso di gestibile dall’individuo, quasi avesse una sua autonomia fisiologica. Concordo nell’adeguarsi al trasformismo digitale, ci mancherebbe, è un cambiamento insito nella società che, con le nuove generazioni, ha già assunto il suo tratto distintivo, mentre per coloro che ancora sono resistenti all’urto o lo devono interpretare occorre necessariamente un tempo di accoglienza più vicino alle loro necessità bio-professionali. Pertanto, a prescindere da anagrafiche e tecnologie di mercato, secondo me, per poter davvero incrementare l’impatto del fattore umano stimolandone il coraggio d’azione occorre sapersi fermare, ma per andare avanti in maniera più consapevole, né per staccare la spina né per entrare in modalità ‘relax’ (digitale). Intendo creare delle esperienze formative che non inculchino solo sapere ma che diano spazio di interazione alle Persone per conoscersi, almeno in superficie, sondare le difficoltà personali e professionali che creano inefficienza e sconforto. Una formazione che già di per sé implichi il coraggio di portare gli attori organizzativi a confrontarsi sulle relazioni, sui malesseri, sulle proprie fragilità, andando ben oltre simulazioni ed esercizi propedeutici all’acquisizione di tecniche di vendita, comunicazione efficace o leadership. Quindi, anche usando a supporto le migliori innovazioni digitali per favorire l’interconnessione tra utenti, mirare a interventi, attenzione, che non vadano a scandagliare i fondali della personalità, assolutamente, ma che abilitino gli individui a capire, oggi, dove sono di casa, come stanno vivendo il loro ruolo, in che modo il cambiamento sta impattando sulla vita professionale e privata, sui valori in cui credono e le abitudini che sono soliti seguire. Creare degli spazi dove scoprire dalle e con le Persone cosa significhi affrontare una sfida, cosa vuol dire per loro avere coraggio e, soprattutto, quali sono le risorse personali a disposizione per sostenere la complessità di un sistema socioeconomico che, da non dimenticare, rispecchia la medesima fenomenologia complessa insita nel fattore umano.

 

Nel contesto globale contemporaneo la diffusione di informazioni avviene a una velocità incalzante sospinta dalla digitalizzazione. Per questo motivo il formatore deve sperimentare sempre più approcci sistemici e strumenti innovativi, anche associando differenti discipline. La formazione è sempre il luogo ideale dove generare apprendimenti in grado di produrre cambiamenti personali e professionali coerenti con le dinamiche di sviluppo dello scenario socio-economico e le esigenze competitive delle organizzazioni. Il formatore oggi è la figura che può educare all’uso consapevole della tecnologia, finalizzata al corretto sviluppo della persona. Quali sono i metodi e gli strumenti tecnologici a disposizione del formatore in grado di migliorare l’interazione tra scenario sociale e competitività economica? Quanto questi strumenti influenzano i processi di formazione?

Sfruttando la scia del Social Learning, da intendersi come forma di apprendimento che avviene all’interno di un contesto sociale mediante osservazione o trasmissione diretta, la base di partenza che trovo fondamentale come punto d’incontro tra Persone ed Economia è lo sviluppo della Knowledge Sharing, quale approccio organizzativo (inter) culturale sia interno che esterno. Con la visione endogena, intendo lo scambio continuo tra funzioni e sostenuto dentro la realtà aziendale, la costruzione di spazi condivisi finalizzati a incontrarsi per generare idee e conoscere in senso pratico strumenti operativi di comunicazione, agevolando un’orizzontalità formativa che vada oltre i classici interventi su ristrette nicchie di partecipanti. Con l’accezione esogena, mi riferisco alla completezza di una visione olistica del sapere, in cui tutto ciò che proviene dal mercato, dall’informazione, dalla scienza, dall’ambiente e quant’altro diventi la matrice con la quale alimentare il processo formativo, creando (inter) connessioni non solo a livello tecnologico ma anche e soprattutto umano. Pertanto, dall’unione tra scenario interno ed esterno si origina quell’esperienza d’uso (UX) che, secondo me, deve coinvolgere la Persona a tutto tondo, attraverso l’emozione del fare, il senso del riflettere e la parola del creare sistemi di appartenenza. Di conseguenza, se si vuole sostenere questo nuovo e irreversibile processo di apprendimento in cui la Persona è diretta protagonista, servono strumenti tecnologici che vadano a “configurarsi” come tratti di vita organizzativa quotidiana: piattaforme LMS come luoghi virtuali di condivisione e sperimentazione del sapere, applicazioni mobile per accessi a contenuti immediati in ogni tempo e spazio, ma anche workshop d’impatto che mostrino all’utente il mezzo tecnologico, le finalità di utilizzo e le motivazioni alla base di una nuova forma di apprendimento. Quindi, non solo usare lo strumento, ma imparare a capirlo; prima dell’avvento del “classico” personal computer “esisteva” un’aula con un formatore, una lavagna luminosa e pacchi di lucidi da proiettare facendo attenzione a non ustionarsi le mani vicino alla lampada. All’epoca al mezzo non si dava peso, così come si fosse trattato di una fotocopiatrice; poi coll’arrivo del pc e accattivanti presentazioni in power point, anche l’utente ha iniziato a contemplare l’idea di fare suo quello strumento che poteva rivelarsi assai utile nel rivestire a sua volta i panni di un formatore interno nella spiegazione visiva di un business plan o dell’andamento trimestrale delle vendite. Oggi, l’utente, il più delle volte, anche se non ancora in maniera così diffusa, necessita di uno strumento che, al di là del contenuto formativo, sia già di per sé “tecnologico” o comunque allineato a un’impostazione digitale: library, pillole, webinar, infografiche, demo, podcast. Quindi, laboratori esperienziali che portino a sviluppare competenze nell’ambito della digitalizzazione come il complex problem solving, attività di Visual Thinking per accelerare la mappatura delle idee, ambienti di simulazione in realtà virtuale per imparare a fare “vedendo e toccando con mano”, simulatori comportamentali dotati di sorprendenti intelligenze artificiali con cui confrontarsi e mettersi alla prova, progetti di gamification che aiutino a rendere l’apprendimento un percorso in cui sentirsi protagonisti delle proprie sfide, con se stessi e insieme agli altri. Dal mio punto di vista, tutto questo può decisamente influenzare il processo di formazione nella misura in cui si preservi comunque l’equilibrio tra funzionalità dello strumento ed esigenza dell’utente; il contesto economico è sì in continuo cambiamento, ma la tecnologia quale leva competitiva è un fattore che ha molteplici risvolti a seconda dei contesti organizzativi cui si fa concretamente riferimento.

 

La maggior parte delle scoperte, dalle grandi innovazioni scientifiche agli step esperienziali della crescita di ognuno di noi, avvengono attraverso il continuo imbattersi in errori e ostacoli. La possibilità di sbagliare, se circoscritta a un contesto adeguato, è il motore del miglioramento personale. Ad esempio Cristoforo Colombo, imbarcandosi con le 3 caravelle nel 1492, ha colto l’episodio di serendipità più influente nella storia moderna: mirando a raggiungere le Indie, scoprì l’America. Nella serendipità, ovvero la possibilità di imbattersi in felici scoperte per puro caso, è determinante l’influenza della specifica realtà in cui si opera. Il compito del formatore è operare attraverso la centralità della persona, legando tramite l’apprendimento il contesto dello scenario socio-economico allo sviluppo umano.Attraverso quali pratiche il formatore può trasmettere alla persona i mezzi necessari per la crescita dell’individuo nella realtà locale?

Per attiva esperienza in merito, trovo molto efficaci le metodologie che, al di là di nomi specifici o applicazioni particolari, vanno sotto il cappello di “pratiche narrative”, dove al centro dell’esperienza vi è l’utente con il suo raccontarsi (personale, professionale, di gruppo, organizzativo, metaforico, fiabesco, creativo). Per un formatore, la possibilità di ascoltare o di leggere la storia di un partecipante o anche di un gruppo di discenti crea lo scenario ideale in cui identificare, percepire, orientare la crescita delle Persone, rilevando informazioni e vissuti essenziali quali indicatori di sviluppo, connessione, aspettative (o meno) sia verso il contesto organizzativo di riferimento sia, di rimando, in termini di impatto socio-economico. Il narrare un’esperienza o una situazione permette di addentrarsi in un territorio che è già di per sé (auto) formativo e dal quale occorre comprendere, insieme all’utente, come si svilupperà il successivo percorso di narrazione, quali le risorse a disposizione, gli eventuali ostacoli da considerare, l’impatto del contesto in cui si sta articolando la storia, aspettative, sogni e timori. La capacità da parte del formatore di trasmettere i mezzi necessari alla crescita dell’individuo non si genera soltanto da un ascolto passivo, o meglio, integrativo al narrato dell’utente, ma si inserisce come apporto esterno di osservazione partecipativa che alimenta la creazione di uno scenario terzo che, dal riscontro del partecipante stesso, possa trovare ulteriori tasselli risolutivi o mancanti al proprio percepito narrativo. Dal mio punto di vista, la lettura di un contesto in chiave narrativa apre parallelismi, confronti, idee che stimolano la riflessione personale in un continuo scambio di percezioni e analisi dei fatti tra la propria visione e la realtà esterna, generando punti di vista, progetti e contributi arricchenti sia per l’individuo che per il gruppo in apprendimento. Un secondo filone che, secondo me, lega in maniera produttiva lo scenario socio-economico allo sviluppo umano abbraccia le “pratiche meditative”, termine con il quale mi riferisco ad approcci come la Mindfulness, la Bioenergetica, le Arti Marziali, le esperienze immersive in Natura, che non solo agevolano un momentaneo distacco della persona dal suo ambiente organizzativo ma la predispongono a una maggiore centratura sul proprio Sé rispetto. Si tratta di (ri) connettere l’individuo a una sfera corporeo emotiva spesso trascurata per aiutare il partecipante a ritrovarsi, dando modo alla mente di respirare e, soprattutto, di aprirsi in maniera rilassata a ciò che la circonda per fornire un’energia nuova e/o diversa da spendere nel quotidiano lavorativo e, attraverso la quale, stimolare nuovi orizzonti migliorativi a più livelli. Ascoltarsi ed entrare in contatto col proprio ritmo, anche in un contesto esterno all’organizzazione, permette di cambiare prospettiva o comprenderla meglio, agevola il “vedersi agire” da lontano, per imparare a interrompere un flusso mentale standardizzato e arricchire le capacità sensoriali. Non da ultimo, anzi, quasi a coronamento dei due precedenti filoni, sottolineo la pratica del Coaching, in ogni sua forma e applicazione, in quanto strumento orientato alla crescita delle Persone che ben si radica nella realtà dell’individuo per scoprire dove e come quest’ultimo si pone in quella locale, sotto ogni punto di vista. In questo caso, più che di trasmissione di un mezzo si tratta di accompagnamento a un risultato, o meglio, lo strumento applicato dà adito a uno scambio interattivo che genera scenari in continua evoluzione, la cui capacità di adattamento (o meno) è insita nelle scelte dell’individuo, protagonista assoluto della propria esperienza di apprendimento.


 

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