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Federico Polidori

Categories: AIF,Interviste

  

FEDERICO POLIDORI

Training Specialist / Role Playing Game Designer / Life Coach

Che vantaggi può offrire la Gamification a livello esperienziale?

I vantaggi di un coinvolgimento attraverso la gamification, per la mia esperienza, sono sostanzialmente due: (1) imparare ad accogliere modalità di apprendimento, strategie motivazionali e/o campagne di marketing orientate a fare del gioco un “trigger” generativo di comportamenti che attivino azioni di risposta e/o adesione immediata, dove il saper coinvolgere la Persona è solo l’inizio, “il lancio” dell’esperienza; (2) far vivere un progetto, qualsiasi sia la sua declinazione, in modo accattivante, per stimolare curiosità e portare gli individui a rendersi conto di quanto e come l’aderire a un’attività gamificata metta la loro azione di apprendimento, acquisto, riflessione all’interno di un processo dove scegliere di agire ha degli effetti immediati in termini di informazioni di ritorno.

Le maggiori difficoltà d’uso riguardano sia l’applicabilità di meccaniche e dinamiche che si vogliono generare nei confronti dei destinatari di riferimento sia la capacità di saper equilibrare l’esperienza utente attraverso un intervento che non può né deve essere solo un gioco, come spesso si può fraintendere, bensì un’attività che, mutuata da elementi di carattere ludico, aiuti a coinvolgere le Persone, senza perdere di vista l’obiettivo, il contesto all’interno del quale immergere l’utente.

Un fattore che può far riscontrare maggior interesse è sicuramente la presentazione del metodo in maniera chiara, a fronte degli scopi (didattici, commerciali, motivazionali) sulla base dei quali progettare poi l’esperienza, “farsi spiegare le regole” fin dall’inizio dall’utente finale per costruire un’attività quanto più vicina alle esigenze di quest’ultimo, senza dover necessariamente proporre iniziative, idee o semplici stimoli preconfezionati e “a giochi fatti”.

 

Quali strategie un’azienda oggi può adottare per il Well-Being della persona?

Per organizzare e favorire il Well Being delle Persone all’esterno (e di riflesso all’interno) del contesto aziendale, la tecnologia dovrebbe contemplare anche la rilevanza del lato umano dello Smart Working, assecondando non solo le priorità aziendali in termini logistico strumentali, ma anche le esigenze dell’individuo. Quindi, partire dall’idea e dalle pratiche di Benessere che tale nozione comporta e comprendere, come per la specificità dei compiti riportate in job description rispetto a un qualsiasi ruolo organizzativo, anche quali sono le necessità delle Persone a cui dedicare, da un lato, mente e tempo, dall’altro, “politiche smart” in linea con obiettivi professionali allargati a una dimensione umana a tutto tondo.

Questo per unire in un equilibrio quanto più misurato l’efficienza di un processo organizzativo che possa essere davvero “smart”, con tutte le sue caratterizzazioni procedurali nel rispetto delle varie realtà aziendali, garantendo visibilità alla Persona, i cui bisogni sono collegati e abbracciano anche la dimensione extra lavorativa, connotandola di un risvolto produttivo decisamente differente rispetto a procedure aziendali rigide, fortemente strutturate e ancora ferme al binomio “Persone/Numeri”. In tale modo, lo Smart Working può avere un impatto definibile come positivo per entrambe le parti.

 

Quali competenze saranno richieste dalle aziende nel futuro mercato del lavoro?

Rilevo due competenze necessarie da adottare per il futuro mercato del lavoro; la prima è legata alla Gestione della Complessità, da intendersi, prima di tutto, come capacità di saper identificare e dare un nome al “caos” organizzativo, imparare a definire almeno una direzione da seguire in mezzo al mare in burrasca, con la consapevolezza di avere pochi punti, possibilmente ben saldi, cercando di anticipare scenari, esigenze di mercato, “user experiences” e possibili rivoluzioni prima ancora che si manifestino o, per lo meno, saperne valorizzare le tracce nella frenesia della corsa al futuro.

Questo è fattibile attraverso un’accorta strategia che sappia investire nel Team Working e nella diversificazione di competenze interne all’azienda, sia per allargare la visione d’insieme sia per uscire da un’ottica gestionale spesso ancora legata a processi lineari del tipo “a causa X segue effetto Y”. A facilitare il change management generazionale aiutano momenti d’incontro, dibattiti mirati a unire menti e pratiche “distanti” che diano ai “senior” di esperienza spunti conoscitivi funzionali a comprendere i bisogni, il potenziale e le ambizioni delle nuove generazioni, spesso caratterizzate da un approccio “socio digitale” da cui ricavare utili nozioni ed esempi, non solo in termini tecnologici ma anche di sviluppo del Network e dello scambio informativo.

Questo può realizzarsi attraverso modalità di pensiero che possono rivelarsi non solo innovative ma anche anticipatorie di idee, servizi e prodotti nuovi da adattare e/o rielaborare sulla base dell’esperienza data dai più “senior”.


 

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