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Luca Ferri

Categories: AIF,Interviste

LUCA FERRI

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Formatore, Executive Coach e Consulente di Direzione

L’innovazione tecnologica sta trasformando le relazioni umane, e il cambiamento è stato percepito anche all’interno delle organizzazioni e delle aziende con cui collaboriamo. La formazione deve innovare metodi, strumenti e spazi al fine di valorizzare la persona in un contesto sempre più digitalizzato. Quali sono i principali cambiamenti da realizzare? Il cambiamento porta con sé elementi positivi? e quali?
Stiamo assistendo ad una trasformazione epocale del modo di condividere la conoscenza ed è lampante quanto l’innovazione tecnologica permetta l’accesso ad un’infinità di informazioni molto utili per la crescita sia personale e sia delle organizzazioni. La formazione attinge a piene mani da questo infinito pozzo e quindi ha la straordinaria possibilità di evolversi più velocemente che in passato nelle metodologie e nei contenuti. I cambiamenti principali consistono nello sviluppo di metodologie formative più “sostenibili” ed efficaci, ovvero processi che possano integrarsi nell’attività quotidiana, permettendo una crescita basata sulla pratica immediata, dove la conoscenza acquisita si trasformi immediatamente in una prassi, grazie al modellamento derivante dall’applicazione nel contesto specifico aziendale. Credo sia finita (o stia volgendo al termine) l’epoca delle intere giornate passate in un aula, anche perché, sebbene sia possibile strutturare un impianto formativo che riprenda il ritmo veloce e tonico a cui siamo oramai tutti assuefatti nella nostra quotidianità (è noto quanto si sia ridotto il tempo di soglia dell’attenzione), non è altrettanto realizzabile che il nostro cervello assimili i concetti a velocità aumentata, ed il rischio è quello di tornare a quella dispersione della conoscenza a che in passato caratterizzava noiosi ed inutili programmi formativi. Già da tempo la Formazione ha perso la rigida schematicità di un tempo ed è diventata uno strumento flessibile che si adatta al contesto ed all’interlocutore (in passato era il contrario), considerando non solo auspicata, ma inevitabile, la realizzazione degli obbiettivi desiderati. In questo contesto la formazione non è più un puro addestramento del personale (seppur importantissimo), bensì assume il ruolo di uno strumento strategico che determina e velocizza i processi di cambiamento continuo che le organizzazioni sono costrette ad attuare non solo per crescere, ma anche per sopravvivere in un mercato che grazie alla tecnologia ed alle comunicazioni, ha una velocità di trasformazione mai vista prima.

 

I sistemi di intelligenza artificiale sono in grado di imparare prospettando nuove forme di vita, cioè entità sensienti di cui non possiamo prevedere, né tanto meno guidare, lo sviluppo. Come questo processo di rapido sviluppo tecnologico, che riguarda la produzione dell’intelligenza collettiva si può legare a etica e valorizzazione della cultura nei processi organizzativi aziendali? In che modo la formazione può supportare la persona affinché possa contribuire all’innovazione senza subirla passivamente?
Di fronte ai cambiamenti possiamo avere solo due posizioni: li giudichiamo o li cavalchiamo. Nel primo caso possiamo abbandonarci a considerazioni socio-culturali in cui “si stava meglio quando si stava peggio”, resistendo inutilmente ad una trasformazione sociale che non fa altro che seguire l’evoluzione naturale delle cose. Probabilmente i nostri antenati non sarebbero mai stati in grado di immaginare una società come quella attuale, eppure il mondo è andato avanti e quelli che l’hanno trasformato (in bene ed in male non è questo il contesto in cui determinarlo) hanno sempre avuto in comune la capacità di accettare e leggere ciò che stava succedendo, comprendendone le dinamiche e modificandolo da “dentro”. Se non commettiamo l’errore di cadere in una sorta di guerra ideologica basata sulla nostalgia di ciò che non sarà più, abbiamo la possibilità di dialogare con l’evoluzione dell’intelligenza artificiale, utilizzandola come amplificatore dei valori e della cultura aziendale. Le possibilità sono immense, a patto che all’interno delle nostre realtà siano chiari i principi su cui desideriamo fondare la cultura interna e che le attività quotidiane e strategiche siano coerenti con essi.

 

Ieri hai detto domani. Oggi i giovani sono il futuro della nostra società, la crisi e la scarsità di investimenti rischiano di contrapporre la dimensione personale della realizzazione del sé a quella della competitività delle imprese e dei territori. In che maniera la formazione potrà far conciliare questi due estremi enfatizzando i valori strategici dell’impresa con la valorizzazione della persona nella sua essenza? In che modo la formazione può costruire una situazione ideale in azienda generando entusiasmo e partecipazione?
Dobbiamo innanzitutto partire dalle cose ovvie ma non per questo scontate. La formazione è da sempre l’unico strumento strategico che fornisce gli “attrezzi” per realizzare gli obbiettivi che ci siamo proposti o superare i problemi che ci ostacolano. Può avvenire sotto forma di semplice esperienza, ovvero possiamo crescere attraverso una modalità che incrementa la conoscenza attraverso gli errori in cui inciampiamo nel quotidiano agire. La caratteristica principale di questa crescita è quella di essere oramai troppo lenta rispetto alla velocità con cui cambiano i dettami del mercato e, soprattutto, di essere puramente casuale. Andava bene quando una mentalità convergente e riduzionista, era più che sufficiente per imparare le regole del mestiere, dove si poteva rimanere efficaci per lungo tempo senza grandi modifiche delle modalità operative e il formarsi era un’attività prevalentemente utilizzata da illuminati (e un po’ folli) sostenitori della crescita continua. Oggi non è più così e senza programmi formativi adeguati, le aziende si ritrovano ad avere un personale stanco e resistente ogni qualvolta si desideri implementare processi e cambiamenti. In questo momento storico le nostre organizzazioni si interrogano più che in passato su come coinvolgere il personale, ed il tema del gioco di squadra è al centro della stragrande maggioranza degli obbiettivi che vengono dichiarati nei vari intenti strategici. Ma come facciamo ad avere un personale coinvolto e che gioca in squadra se non ci preoccupiamo di metterlo nelle condizioni di sentirsi partecipe e parte integrante del sistema azienda? L’investimento in termini di impegno e dedizione che le persone decidono di indirizzare nel lavoro è direttamente proporzionale a quanto sentano di esprimersi in esso, ed è condizionato dalla percezione che questi sforzi possano in futuro incrementare sempre più il proprio benessere generale. La formazione ha un grandissimo ruolo in questo, anche perché (purtroppo) non c’è scuola o università che istruisca i giovani al gioco di squadra o all’allineamento delle proprie aspettative con il proprio lavoro, di conseguenza sta alle aziende il compito di compensare questa mancanza, al fine di poter contare su un tessuto culturale caratterizzato da motivazione e partecipazione nei confronti degli obbiettivi dell’organizzazione. La storia recente dimostra che le aziende che sanno creare un tessuto fertile per la realizzazione delle persone che vi lavorano, hanno la possibilità di incrementare la performance generale in modo considerevole e il tasso di fedeltà del personale raggiunge percentuali inimmaginabili in un’impresa che si concentra sui propri risultati a discapito del benessere dei propri collaboratori. Oramai non è più una questione legata alla sensibilità personale di chi decide le strategie di crescita dei collaboratori, bensì una necessità a cui le aziende devono far fronte anche per diventare interessanti al fine di attrarre i migliori talenti che, in quanto tali, sono stimolati più dalle concrete possibilità di crescita che dalla sicurezza di una comoda poltrona del posto fisso.

 

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