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Quest’anno la riflessione che vorremmo proporre riguarda il nostro lavoro quotidiano e più nello specifico tre parole:
La prima parola è sentiero, inteso come percorso quotidiano di sviluppo e conoscenza.
Nella mia pluriennale esperienza di formatore mi è capitato di svolgere la mia missione in contesti molto differenti tra loro. Allo stesso tempo, pur operando molto in ambiti di business aziendali, man mano mi sono reso conto che, se ad un primo sguardo le dinamiche, le regole di settore e le norme implicite, potevano apparire simili e strutturate, entrandoci sempre più dentro e in profondità, le differenze, talvolta viscerali, emergevano con chiarezza e prepotenza.
Ogni realtà, che sia imprenditoriale, sociale o educativa, fonda la identità su un sentiero che, chi si trova alla guida, traccia e persegue, molto legato alla propria esperienza. Talvolta, questi sentieri possono essere fortemente rigidi, obbligati e recintati per cui gli altri sono costretti a seguirli senza nemmeno aver chiara la destinazione; altre volte, purtroppo meno, questi sentieri si arricchiscono di deviazioni, scorciatoie e bivi. Ebbene, questi aggiustamenti, queste diversificazioni, alcune efficaci altre meno, sono il frutto della maggiore o minore capacità di chi “sta sopra”, ad osservare e ascoltare attivamente quanto viene dal basso; né in maniera cieca, né tantomeno svalutante o superficiale.
Il cd. capitale umano nella sua identità individuale e, al contempo, nel suo essere team, è contributore nello spianare quel sentiero. Più un progetto, un “percorso” formativo interviene su questo delicato aspetto mettendo in atto, nel senso di attivare, la unicità e la responsabilità individuale di ogni persona, tanto più il sentiero tracciato sarà percepito come qualcosa di co-costruito e pertanto familiare, conosciuto; e allora sarà di certo più propenso a percorrerlo.
La seconda chiave è il qui ed ora, la consapevolezza, intesa come conoscenza delle proprie competenze.
Le scoperte più recenti delle neuroscienze, delle discipline quali il coaching o il counselling, la pnl stessa sono concordi nel ritenere che il raggiungimento di grandi risultati, personali e professionali, sono in stretta correlazione con l’essere in uno stato di “alta performance”.
E voglio soffermarmi qui sul concetto di stato. Quante sono le giornate che, seppur tra decine di impegni, imprevisti e criticità, volano via senza accorgercene e nelle quali ci sentiamo carichi e soddisfatti di quanto compiuto; anzi, proprio l’aver superato tutte le avversioni, ci fa sentire bene e gratificati. Viceversa, quante volte il solo svolgere mansioni ordinarie e semplici ci risulta difficile, arduo e opprimente e ci sentiamo incapaci e scoraggiati.
Ebbene, cosa può indurre tale nostra differenza di sensazioni e approccio? Lo stato nel quale siamo (o ci poniamo). Entrare in stato, ovvero in uno stato di “alta performance”, nel quale i sensi sono ricettivi, le abilità e le risorse sono attive è un qualcosa che, le moderne discipline, ci insegnano che si può praticare. Che non è qualcosa al di fuori del nostro controllo. Così come la gestione delle nostre emozioni.
Pratiche antichissime che per secoli sono state ritenute qualcosa di “spiritualistico, folkloristico” appartenenti a società ritenute in un certo senso rimaste “indietro”, tra le quali la mindfulness o la meditazione, nelle sue più disparate versioni, è ormai dimostrato che aiutano ad essere consapevoli del proprio stato, del proprio sentire e anche di ciò che in quel momento blocca il fluire della nostra eccellenza. Ebbene cosa c’è di più efficace che una persona, accorgendosi di un disallineamento tra il proprio sentire e il fare, abbia l’opportunità (gli spazi e i tempi) per ristabilire un equilibrio tra essi?
E immaginate questo beneficio in contesti aziendali o comunitari. Sappiamo ormai che equilibrio ed allineamento individuale si ripercuotono come cerchi concentrici, nel sistema delle relazioni personali e, soprattutto, lavorative. Prendersi cura di ciasc-uno, è prendersi cura dell’intero sistema del quale questo uno fa parte.
Infine il cardine su cui si svolge la nostra vita, anche professionale, l’alleanza.
La parola alleanza presuppone un accordo, una sorta di legame rispettoso tra due o più parti. Ebbene, se guardo alla cosiddetta “generazione Z” (e ho modo di farlo da molto vicino) mi capita spesso di vivere uno switch emozionale poiché interagisco con ragazzi dall’intelligenza acuta, dalla sensibilità sottile e dalla praticità tecnologica rapida che si pongono con giustificata saccenza, e che tuttavia, non appena li sposti dal piano dell’individualismo a quello piano dell’importanza dell’esperienza, della capacità di guardare “oltre”, e parli di apprendimento, di valore tempo, di conquiste generazionali, sembra tu parli un’altra lingua.
Alleanza, in questo senso, è riuscire a creare quei ponti generazionali fatti certo dal sapere scientifico avanzato, di tecnologia, di sguardo al futuro remoto… le cui fondamenta però, ancora oggi, devono essere costruite da relazioni umane, solide, strutturate; con tutto ciò che esse comportano.
Trovo molto evocativa la frase che dice “Se ho potuto vedere lontano è perché sono salito sulle spalle dei giganti” attribuita a vari autori; ebbene, non credo sia retorica o un discorso anacronistico; credo che la generazione Z vada aiutata a godere di ciò che ha, delle possibilità che le sono date e vada apprezzata, e ringraziata, per la sua stupenda visione del mondo; tuttavia, ciò non è in alternativa a parole quali radici, passato e valori universali.
Oggi si fa un gran parlare di soft skill: riuscire ad entrare in contatto con sé stessi, a percepirsi; a concepire la diversità e le differenze degli altri come bellezza e ricchezza; avere un’intelligenza emozionale attiva ed empatica, ed e altre caratteristiche.
Ebbene, ben vengano percorsi di formazioni che aiutino a consapevolizzare i propri stili comunicativi e comportamentali o formazioni sulle soft skill anche tramite la mindfulness, ma facciamo in modo che esse siano praticate, siano scoperte provandole sulla propria pelle; che siano date quasi come compiti da svolgere dopo ogni sessione formativa, perché alleanza è anche andare tutti avanti insieme, e interconnessi.
Non andare avanti tutti, ma individualmente. Come ciascuno sul proprio recintato sentiero.
La seconda chiave è il qui ed ora, la consapevolezza, intesa come conoscenza delle proprie competenze.
Ebbene, cosa può indurre tale nostra differenza di sensazioni e approccio? Lo stato nel quale siamo (o ci poniamo). Entrare in stato, ovvero in uno stato di “alta performance”, nel quale i sensi sono ricettivi, le abilità e le risorse sono attive è un qualcosa che, le moderne discipline, ci insegnano che si può praticare. Che non è qualcosa al di fuori del nostro controllo. Così come la gestione delle nostre emozioni.
E immaginate questo beneficio in contesti aziendali o comunitari. Sappiamo ormai che equilibrio ed allineamento individuale si ripercuotono come cerchi concentrici, nel sistema delle relazioni personali e, soprattutto, lavorative. Prendersi cura di ciasc-uno, è prendersi cura dell’intero sistema del quale questo uno fa parte.
Infine il cardine su cui si svolge la nostra vita, anche professionale, l’alleanza.
Oggi si fa un gran parlare di soft skill: riuscire ad entrare in contatto con sé stessi, a percepirsi; a concepire la diversità e le differenze degli altri come bellezza e ricchezza; avere un’intelligenza emozionale attiva ed empatica, ed e altre caratteristiche.