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Marina Pezzoli

Categories: AIF,Interviste

MARINA PEZZOLI

pezzoli marina
Amministratore Delegato NIUKO, amministratrice risorse in crescita Fòrema

L’innovazione tecnologica sta trasformando le relazioni umane, e il cambiamento è stato percepito anche all’interno delle organizzazioni e delle aziende con cui collaboriamo. La formazione deve innovare metodi, strumenti e spazi al fine di valorizzare la persona in un contesto sempre più digitalizzato. Quali sono i principali cambiamenti da realizzare? Il cambiamento porta con sé elementi positivi? e quali?
L’apprendimento oggi viaggia attraverso canali e spazi nuovi. Le nuove generazioni, quelle che oggi sono all’università, apprendono secondo modalità diverse e la formazione oggi deve proporre nuovi modelli. I ritmi del business chiedono formazione più veloce e fruibile a distanza. I MOOC, i tutorial che viaggiano attraverso la rete, l’apprendimento in rete con device come i tablet e gli smatphone ci parlano di formazione veloce, fruibile in pillole e con tempi di trasmissione dei contenuti estremamente rapidi. La formazione oggi passa per il 70% attraverso il training on the job e quindi sempre meno attraverso le aule classiche. Ma esiste anche una formazione che passa attraverso le metodologie di facilitazione con l’attivazione di gruppi che fanno esperienza per apprendere.
La formazione tradizionale (soprattutto per alcuni contenuti) esisterà sempre ma dovrà essere bilanciata sempre di più con e-learing, MOOC, tutorial, video youtube. Il problema è coinvolgere gli over 50 (ma personalmente trovo forti resistenze anche nei trentenni) e far in modo che i giovani diventino dei coach per l’introduzione di strumenti digitali e metodologie nuove. Ecco che il problema diventa opportunità: connettere di più i giovani e i più anziani. Un altro cambiamento positivo è la ricerca di strumenti e metodi più agili che possano coinvolgere il maggior numero di persone possibile e al contempo la possibilità di scegliere quali temi richiedano invece modalità in presenza, possibilmente con un alto grado di interazione.

 

I sistemi di intelligenza artificiale sono in grado di imparare prospettando nuove forme di vita, cioè entità sensienti di cui non possiamo prevedere, né tanto meno guidare, lo sviluppo. Come questo processo di rapido sviluppo tecnologico, che riguarda la produzione dell’intelligenza collettiva si può legare a etica e valorizzazione della cultura nei processi organizzativi aziendali? In che modo la formazione può supportare la persona affinché possa contribuire all’innovazione senza subirla passivamente?
Riporto un articolo che ho pubblicato sul mio blog https://wordpress.com/post/confessionidiunamentelaboriosa.wordpress.com/834
La capacità di cambiare e innovare è il fondamento per la certezza del futuro, di un buon futuro. Qualsiasi vita si abbia, qualsiasi luogo si abiti e qualsiasi lavoro si faccia il binomio cambiamento-innovazione è il mantra che ci deve guidare. Nel mio lavoro vale per la gestione dell’azienda e dei collaboratori e vale per i servizi/prodotti che offriamo. Ma… attenzione! le due cose non sono così scollegate. La capacità di guardare avanti e inventarsi cose nuove è infatti strettamente legata allo spirito che anima l’organizzazione, nelle persone che la compongono e nei processi che la sostengono. Come è possibile proporre cose innovative se non si è curiosi? Come è possibile utilizzare nuove metodologie, ad esempio legate alla digitalizzazione, se l’azienda non è digitale? Come è possibile adottare nuove metodologie didattiche se le persone ed i luoghi in cui si fa formazione non evolvono coerentemente? Ma… attenzione ancora. Se guardare avanti è fondamentale per garantirsi il futuro, non ci si deve mai dimenticare quali sono le nostre radici, quali sono le best practice che ci contraddistinguono e quali sono i prodotti/servizi di successo, anche se tradizionali, cui non dobbiamo rinunciare. E’ un confine labile quello che esiste fra solidità del conosciuto e certo, che si traduce oggettivamente in ottime performance, ed il suo rischio di obsolescenza se non si innova. Mi spiego meglio: è importante cercare nuove metodologie didattiche ma non sempre è possibile applicarle a tutta la formazione. Ad esempio la metodologia esperienziale funziona benissimo per lo sviluppo organizzativo, è un po’ più difficile applicarla alla contabilità. Oppure la FAD è molto adatta per contenuti tecnici, un po’ meno per quelli comportamentali. Questo significa che si deve cercare di spingere al massimo per varcare i confini del conosciuto e sperimentare, facendo attenzione però a non buttare quello che funziona bene anche se old fashion. Il segreto è capire quali sono le innovazioni tecniche e metodologiche (organizzative e progettuali) da cercare in ragione dei contenuti, degli obiettivi, del tempo e dei soldi a disposizione. E quindi introduciamo altri elementi di riflessione: cosa produrre, per chi, in quali modalità e a quali prezzi perché tutto ciò ha a che vedere con la sostenibilità produttiva, di marketing e dunque economica del progetto.

 

Ieri hai detto domani. Oggi i giovani sono il futuro della nostra società, la crisi e la scarsità di investimenti rischiano di contrapporre la dimensione personale della realizzazione del sé a quella della competitività delle imprese e dei territori. In che maniera la formazione potrà far conciliare questi due estremi enfatizzando i valori strategici dell’impresa con la valorizzazione della persona nella sua essenza? In che modo la formazione può costruire una situazione ideale in azienda generando entusiasmo e partecipazione?
Partiamo dalle soft skills e stimoliamo le persone a “connettersi” attraverso competenze non solo tecniche e coinvolgiamo i giovani attraverso la creazione di team di lavoro che, ben guidati, possano dare la possibilità di esprimersi portando idee e soluzioni innovative. L’approccio bottom up coinvolge e motiva le persone e forse aiuta a riavvicinare una realizzazione di sé personale con quella professionale. I giovani chiedono dove saranno tra 5 anni e le aziende non sanno rispondere perché gli scenari di mercato sono alquanto incerti; parlare di un progetto comune e di una sfida comune può rappresentare un potente fattore aggregante. E’ quindi necessario che le organizzazioni imparino a trasmettere meglio la propria storia ed i propri valori perché, se non sono chiari, giovani e meno giovani non capiranno mai per chi e per cosa devono impegnarsi, magari con fatica, e difficilmente si riuscirà a compattare la squadra. Se oggi gli adulti non sognano è perché il modello sociale ed economico di riferimento non solo li ha delusi ma, in fondo, sì è dimenticato da tempo quanto sia importante sognare (pensiamo al dopo guerra e quanto il sogno, la volontà di riscatto siano stati fondamentali per la crescita). Quindi i giovani oggi faticano a trovare entusiasmo e partecipazione perché viviamo in un epoca depressa. Ma le aziende non possono fare tutto da sole: le scuole e le università devono dare il loro contributo nel far crescere i giovani ed i sogni dei giovani e purtroppo, per problemi economici e spesso per autoreferenzialità, mancano spinte innovative ed entusiasmanti.


 

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