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Quest’anno la riflessione che vorremmo proporre riguarda il nostro lavoro quotidiano e più nello specifico tre parole:
La prima parola è sentiero, inteso come percorso quotidiano di sviluppo e conoscenza.
Come possono le aziende attraverso i loro reparti HR supportare adeguatamente le nostre scelte in una ottica di “incubator” delle attitudini personali, per farci individuare il giusto sentiero? Quali sono gli strumenti che aiutano le persone a trovare i migliori percorsi formativi volti a valorizzare le proprie attitudini e competenze?
Un approccio alla gestione delle risorse umane orientato al Diversity & Inclusion Management tenta di “rompere” la logica del “one best way”, o dell’unica strada possibile e pre-definita, e cerca di introdurre nei contesti organizzativi la logica dei possibili “sentieri”: percorsi non necessariamente diritti e lineari, e che contemplano tortuosità.
Il Diversity & Inclusion Management, attraverso la creazione di un ambiente di lavoro inclusivo, offre alle persone la possibilità di esprimere la propria unicità, o la propria “diversità”, così da poter dare il meglio di sé, e creare un beneficio sia per sé sia per il contesto organizzativo per cui lavorano.
Mettere in atto comportamenti individuali e organizzativi inclusivi, è possibile solo se si è in grado di riconoscere, e quindi si è consapevoli, dei bias propri e della propria organizzazione, e se si creano “sentieri” alternativi. Per far ciò occorre anzitutto che le persone che ricoprono i ruoli HR siano interessate alle “Persone” (con la “P” maiuscola come direbbe Bruscaglioni), e che abbiano conoscenze e capacità sul Diversity & Inclusion Management. Chi ricopre il ruolo di HR deve essere in grado di dedicare del tempo ed ascoltare ogni singola persona, per valutarne non solo le competenze legate allo specifico ruolo professionale ricoperto, o da ricoprire (in caso di selezione), ma la sua interezza: quindi attitudini, sue passioni, motivazioni, potenzialità. Non mancano test di tipo psico-attitudinale che spesso si utilizzano all’interno di batterie di strumenti adottati nelle attività di selezione, negli assessment o nei development center. Tuttavia credo che il colloquio, soprattutto se svolto con uno stile informale, non valutativo, e che consente alla persona di raccontarsi nella sua interezza, integrato ad osservazioni dirette, sistema di valutazione 360°, modello delle competenze per livelli e mappa dei percorsi di formazione e sviluppo tra cui la persona possa scegliere (non solo un elenco o un catalogo) rappresentino utili strumenti perché ciascuna persona sia in grado di orientarsi lungo il proprio sentiero e di compiere scelte di fronte a bivi.
E’ utile inoltre che conoscenze e capacità di diversity & inclusion management siano possedute da tutti i “capi” che gestiscono team. Infatti, se i capi non sono in grado di includere (ad esempio durante momenti formali come una riunione, o informali quali una pausa pranzo o una pausa caffè) possono lanciare messaggi non verbali e conseguentemente bloccare, piuttosto che facilitare l’espressione delle attitudini dei singoli.
La seconda chiave è il qui ed ora, la consapevolezza, intesa come conoscenza delle proprie competenze.
Possono le pratiche di Mindfulness essere un valido aiuto nella consapevolezza dello stato psico-fisico quale fattore fondamentale per il miglioramento della cultura organizzativa aziendale?
Non sono esperta di tecniche di mindfulness di conseguenza non posso esprimermi sulla validità o meno della mindfulness. Ma la (auto)consapevolezza, la conoscenza di sé, o la capacità auto-riflessiva, sono “saperi” e “capacità” molto importanti, sviluppabili anche con altre tecniche o pratiche, che vanno da quelle di tipo meditativo a quelle di tipo sportivo.
La presenza a sé, la consapevolezza di sé, dei propri valori, dei propri stili relazionali “preferiti”, dell’impatto dei propri comportamenti o del proprio stile relazionale sugli altri, così come la consapevolezza della complessità dei contesti relazionali in cui top manager si muovono e si trovano a dover prendere decisioni, sono ampiamente riconosciute come parte del “mindset” o delle “skill” dei manager globali di successo. La consapevolezza consente di vivere essendo presenti nel qui e ora, di vivere a pieno e godersi ciascun passo del proprio sentiero; ma anche di fare scelte integrate con il proprio sé, e al tempo stesso coerenti con il contesto relazionale e organizzativo in cui ci si muove; di prendere decisioni considerando le conseguenze, in termini relazionali o comportamentali in specifiche situazioni, o considerando un orizzonte più ampio e/o di più lunga durata, in termini strategici. La consapevolezza è quella capacità senza la quale non è possibile gestire la complessità o prendere decisioni complesse, che a volte si basano necessariamente su compromessi o negoziazioni.
Infine il cardine su cui si svolge la nostra vita, anche professionale, l’alleanza.
Quali sono quindi i percorsi formativi che si potranno mettere in pratica per supportare i giovani che entrano nella dimensione organizzativa lavorativa, dove necessariamente si dovranno favorire l’attivazione di atteggiamenti di cooperazione e collaborazione nei rapporti interpersonali e di gruppo, superando le individualità del singolo?
Da qualche anno insegno un corso all’Università Cattolica di Piacenza di Intercultural Management. Il mio corso è strutturato su un percorso di sviluppo di alcune competenze soft basato sul modello di Global Sustainable Manager di Bird e Osland (2004). Secondo questo modello, i manager internazionali di successo, oltre a possedere competenze manageriali di base, quali le conoscenze di uno specifico settore di business, conoscenze relative al sistema legislativo, di tassazione, economico-politico di un paese o un’area geografica, si contraddistinguono anche per le seguenti competenze “soft”: a) Tratti o caratteristiche di personalità quali l’integrità, l’umiltà, la curiosità e la resilienza; b) Attitudini o orientamenti che hanno a che fare con un mindset globale, e quindi con un cosmopolitanismo e la capacità di considerare e gestire la complessità; c) Capacità interpersonali ed interculturali che includono la presenza e la consapevolezza delle proprie modalità comunicative, e la capacità di creare e costruire relazioni di fiducia; d) Capacità sistemiche quali la capacità di porre attenzione agli impatti sulla comunità e di attivare cambiamenti, così come la capacità di prendere decisioni etiche e sostenibili.
Per me, in quanto docente e formatrice, lo sviluppo della consapevolezza di sé è molto importante, per diventare leader di sé stessi, e quindi per avere una direzione ed essere consapevoli di sé e delle proprie scelte; e per poter diventare “future global leader”, in grado di decidere non solo ciò che è meglio per sé, ma anche in considerazione dell’impatto e della sostenibilità delle proprie decisioni, in termini economici, sull’ambiente, sulle comunità, e di influenzare gli altri in funzione di questi scopi.
Per fare ciò all’inizio del mio corso, oltre a presentare ai miei studenti il modello di competenze di leadership su cui lavoreremo e che devono tenere in considerazione per il proprio sviluppo personale e professionale, gli offro la possibilità di diventare un po’ più consapevoli di sé e di scegliere i propri percorsi di formazione e sviluppo attraverso l’auto-somministrazione di un test di autovalutazione della propria global leadership. Uso inoltre una didattica esperienziale, in cui stimolo molto il confronto e l’auto-riflessione attraverso esercizi, simulazioni e business case in cui vengono presentate situazioni manageriali complesse da analizzare e a cui tentare di fornire soluzioni alternative, anche in considerazione delle ricadute etiche. Adotto inoltre sistemi di valutazione sia di gruppo sia individuali, grazie ai quali i miei giovani studenti imparano a collaborare, ma anche a dare il meglio si sé, se vogliono emergere e contraddistinguersi individualmente.
All’interno delle aziende, inserire tra i modelli di competenze e di leadership dimensioni quali la capacità di prendere decisioni etiche e sostenibili, consente di promuovere e di premiare la diffusione di leader attenti agli impatti sugli altri, e non solo su di sé. La presenza di leader globali e sostenibili, in quanto role model, insieme a pratiche o strumenti formativi quali il peer coaching ad esempio, possono contribuire a creare e diffondere modelli e pratiche di global sustainable leaders, e di creare culture organizzative inclusive, collaborative, attente alla responsabilità sociale.
Mettere in atto comportamenti individuali e organizzativi inclusivi, è possibile solo se si è in grado di riconoscere, e quindi si è consapevoli, dei bias propri e della propria organizzazione, e se si creano “sentieri” alternativi. Per far ciò occorre anzitutto che le persone che ricoprono i ruoli HR siano interessate alle “Persone” (con la “P” maiuscola come direbbe Bruscaglioni), e che abbiano conoscenze e capacità sul Diversity & Inclusion Management. Chi ricopre il ruolo di HR deve essere in grado di dedicare del tempo ed ascoltare ogni singola persona, per valutarne non solo le competenze legate allo specifico ruolo professionale ricoperto, o da ricoprire (in caso di selezione), ma la sua interezza: quindi attitudini, sue passioni, motivazioni, potenzialità. Non mancano test di tipo psico-attitudinale che spesso si utilizzano all’interno di batterie di strumenti adottati nelle attività di selezione, negli assessment o nei development center. Tuttavia credo che il colloquio, soprattutto se svolto con uno stile informale, non valutativo, e che consente alla persona di raccontarsi nella sua interezza, integrato ad osservazioni dirette, sistema di valutazione 360°, modello delle competenze per livelli e mappa dei percorsi di formazione e sviluppo tra cui la persona possa scegliere (non solo un elenco o un catalogo) rappresentino utili strumenti perché ciascuna persona sia in grado di orientarsi lungo il proprio sentiero e di compiere scelte di fronte a bivi.
La seconda chiave è il qui ed ora, la consapevolezza, intesa come conoscenza delle proprie competenze.
Infine il cardine su cui si svolge la nostra vita, anche professionale, l’alleanza.