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Alberto Di Capua

Categories: AIF,Interviste

  


ALBERTO DI CAPUA


Stabiese di nascita e di formazione, senigalliese di adozione. Classe 1958, i primi trent’anni li ha trascorsi al sud in mezzo ai problemi del terremoto del 1980; i secondi trenta li ha vissuti, invece, nelle belle Marche dove si è dedicato a molteplici attività, nel volontariato come nel lavoro. Attualmente, svolge un lavoro che ritiene sia quello per il quale è nato e che lo appassiona moltissimo, ossia quello di facilitare percorsi, processi e relazioni tra persone e anche tra istituzioni. Lui dice che è l’ultimo (ne ha cambiati almeno tre) ma nessuno gli crede. Ha comunque una grande fortuna che è quella della sua famiglia che ha imparato ormai a sopportarlo.

Quest’anno la riflessione che vorremmo proporre riguarda il nostro lavoro quotidiano e più nello specifico tre parole:
 
La prima parola è sentiero, inteso come percorso quotidiano di sviluppo e conoscenza.

La vita lavorativa deve avere sempre davanti un obiettivo generale, ossia quello di svolgere un lavoro per il quale ritieni di essere nato e che ti appassioni moltissimo. Un’impresa non facile, considerando che ho lavorato diciotto anni in una grande azienda di servizi, dieci come titolare di un impresa commerciale ed altri dieci come formatore. Quest’ultima poi mi ha aperto nuovi fronti sempre più interessanti e finalizzati a soddisfare le esigenze più aderenti alla mia indole e alla mia personalità. E’ stato un bel percorso, non c’è che dire, dove posso dire di aver incontrato guide significative che più che orientarmi con il ‘loro’ punto di vista mi hanno permesso di ‘educarmi’ a scelte sempre più coraggiose. E le guide sono importanti, non puoi fare tutto da solo, ma ci sono guide e guide; l’importante è scegliere quella giusta e più rispettosa delle tue esigenze. Le trovi in azienda (colleghi) o nei contesti che frequenti, professionali e non (influencer), solo che c’è un ma! Nessuna di queste appena citate hanno tutte le informazioni necessarie per aiutarti a fare le scelte decisive perchè solo tu potrai. Di conseguenza un contesto aziendale, da solo, non potrà venirti incontro e sarà quindi solo un orientamento parziale; a meno che il valido HR non allarghi la visuale su quello che crede di sapere ma ancora non sa!

 
La seconda chiave è il qui ed ora, la consapevolezza, intesa come conoscenza delle proprie competenze.

Come facevo trasparire nel punto precedente, il binomio motivazione e passione va sempre difeso. Senza passione per le cose che fai non ci sarà mai motivazione. Non credo nella motivazione estrinseca, ossia quello del bastone e la carota; non credo in obiettivi assegnati, infatti, che non siano in grado di catturare le tue motivazioni e le tue passioni fondamentali. Potrai anche raggiungerli e godere del premio ma saranno sempre il risultato di un tuo impegno anche importante, per il quale sei peraltro pagato, ma non ti aiuteranno a crescere ed essere migliore soprattutto nei riguardi di te stesso. Ti dirai che sei stato bravo e questo ti farà anche piacere, ma non sarà la vera dopamina di cui avrai sempre bisogno. E allora qual è questa carica che ti terrà sempre ‘fresco e tosto’? Quello che ti farà stare bene dopo aver conseguito quegli obiettivi che corrispondono alla visione del futuro, quello tuo, dei tuoi cari e della comunità a cui appartieni. Questo è essere consapevoli! Sapere per chi e per cosa stai lavorando e lottando, sorretto da quella gratificante e costante passione che ti appartiene.

 
Infine il cardine su cui si svolge la nostra vita, anche professionale, l’alleanza.

Il mio pay-off è: “Piccolo è bello ma fare rete è meglio” cambiato di recente “in fare rete è inevitabile”. Questo vale per le imprese come per noi professionisti che, dovendo ogni giorno affrontare e gestire la complessità, non possiamo fare a meno di confrontarci e cooperare. Spesso, tuttavia, è difficile perché prevale lo spirito competitivo dove qualcuno rimane bloccato nella sua visione e non riesce a fare spazio alla tua. Ma anche questo si supera con l’esercizio e la frequentazione. Ma è proprio questo il punto! Giovani e meno giovani, esperti e meno esperti, chi ne sa di più e chi di meno, hanno talvolta poca dimestichezza nel lavorare insieme, ritenendo di fare prima producendo soluzioni in solitaria e sottovalutando che una migliore soluzione potrebbe giungere da un lavoro corale. Si deve cominciare a fare rete nella giovanissima età, fin dalle medie sennò non si diventa mai bravi. Per fortuna, in Italia cominciano a vedersi alle superiori talune metodologie didattiche di matrice americana, come la flipped teaching, che privilegiano il cooperative-learning, ossia lavorare in gruppo. E neanche risulta immediatamente facile avendo a che fare con uno stile, quello italiano, particolarmente individualista e poco collaborativo.


 

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