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Anay Anselmi

Categories: AIF,Interviste

  

ANAY ANSELMI

Formatore Libera Ass. nomi e numeri contro le mafie Messa a disposizione scuola infanzia/primaria posto comune sostegno

Che vantaggi può offrire la Gamification a livello esperienziale?

Prima di addentrarmi nel vivo del tema considero fondamentale chiarire il termine di riferimento. La Gamification può essere intesa come un insieme di regole mutuate dal mondo dei videogiochi, che hanno l’obiettivo di applicare meccaniche ludiche ad attività che non hanno direttamente a che fare con il gioco. In tale maniera è possibile influenzare e modificare il comportamento delle persone, favorendo la nascita ed il consolidamento di un interesse attivo da parte degli utenti coinvolti verso il messaggio che si è scelto di comunicare, sia esso relativo all’incremento di performance personali o più in generale alle performance d’impresa.

I vantaggi riscontrabili riguardano:
– l’utilizzo di un linguaggio già ampiamente conosciuto ai più giovani, a scapito però dei lavoratori più anziani che su questo aspetto andrebbero formati. A questo proposito considerando la gamification come un possibile aggregatore generazionale sarebbe auspicabile, a mio avviso, utilizzare un modello formativo che ricalchi quello della peer education;
– il coinvolgimento attivo dei partecipanti mediante la creazione di un ambiente di apprendimento che miri alla crescita personale e collettiva;
– la creazione di un clima di lavoro che sia competitivo, stimolante e sereno poiché, come rilevato da William A. Kahn nel 1990 tramite la ricerca “Psychological Conditions of Personal Engagement and Disengagement at Work”, ciò che influisce maggiormente sulla performance dei lavoratori è ciò che questi provano a livello emotivo. È dunque fondamentale porre attenzione all’influenza della parte emozionale sul dispositivo motivazionale e l’impatto che tutto ciò può avere sulla formazione esperienziale.

I possibili svantaggi a cui far fronte possono essere:
– i tempi ed i costi di un eventuale adattamento tecnologico;
– il monitoraggio della motivazione in quanto dopo una prima fase di enfasi ed utilizzo massiccio della gamification, se non adeguatamente stimolata, la motivazione può andare scemando.

Per di più un’azienda che voglia essere competitiva non può prescindere dall’engagement; le persone possono fare la differenza ed è importante lavorare per ottenere un clima aziendale che promuova benessere. L’engagement è quindi di primaria importanza perché favorisce l’efficace funzionamento dell’azienda e permette di sostenerla durante i continui processi di cambiamento. È dunque doveroso chiedersi come ottenere un maggior engagement dal punto di vista dei partecipanti. In primo luogo ritengo sia fondamentale ri-portare al centro le persone, investendo in modo particolare sulla comunicazione che uno degli elementi determinanti dell’engagement. I lavoratori hanno bisogno di sentirsi parte dell’azienda e non semplicemente delle pedine senza alcuna capacità di azione. È necessario dare valore alle idee dei singoli, bisogna cercare di apprezzare i contributi altrui prendendone spunto. È fondamentale porsi in ascolto delle persone e capire quali siano i loro bisogni. La comunicazione non è solo importante tra capi e sottoposti ma anche tra gli stessi colleghi. L’instaurarsi di relazioni autentiche è di primaria importanza per il benessere lavorativo.

 

Quali strategie un’azienda oggi può adottare per il Well-Being della persona?

Considerando la definizione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, lo Smart Working (o Lavoro Agile) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali ed un’organizzazione per fasi, cicli ed obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della produttività sua e dell’azienda per cui lavora. Ritengo che lo Smart Working così inteso possa davvero avere un impatto positivo per entrambe le parti a patto che si abbia la volontà di rivedere il modello di leadership e di organizzazione, rafforzando il concetto di collaborazione ed altresì favorendo la condivisione degli spazi. Per quanto riguarda la sua diffusione secondo i risultati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano il 58% delle aziende medio grandi ha già introdotto iniziative concrete. Anche nella PA comincia a farsi strada un modello di lavoro “smart”: oltre quattromila dipendenti pubblici operano in remoto (800 in più in un anno) e oggi l’8% delle Pubbliche Amministrazioni ha progetti strutturati di lavoro agile (contro il 5% del 2017), l’1% ha attivato iniziative informali e un altro 8% prevede l’attivazione di nuovi progetti di lavoro “smart” a partire dal prossimo anno. La forza dello Smart Working sta nel fatto di essere sostanzialmente trasversale alle diverse industry; ma con riguardo alla sua reale efficacia il discorso che ancora non ha una risposta definitiva. Prima di tutto perché, essendo stata introdotta una normativa solo da poco tempo (Legge n. 81/2017), non si hanno ancora risultati certi su di un eventuale miglioramento effettivo per quanto riguarda i livelli di produttività sia a livello individuale che aziendale. Quello che è certo è che in futuro, nel nostro Paese, si assisterà ad un progressivo aumento del numero di persone coinvolte nelle diverse forme di lavoro agile. Un giudizio di merito si potrà ottenere solo quando il trend si sarà definitivamente consolidato.

 

Quali competenze saranno richieste dalle aziende nel futuro mercato del lavoro?

In un mondo sempre più liquido, incerto, sempre in movimento le aziende sono continuamente alla ricerca di persone formate e competenti. Per riuscire a “sopravvivere” all’interno dell’intricata selva del mondo del lavoro sono richieste buone life skills, una buona capacità di problem solving e di lavoro in team. La gestione dei processi di trasformazione organizzativa e culturale è da sempre una necessità fondamentale per le imprese che vivono momenti “normativi” di riorganizzazione del proprio assetto. Per poter funzionare, per poter essere costantemente competitive sul mercato le imprese devono saper far fronte ad un cambiamento quotidiano. E questo spaventa. Spaventa il cambiamento perché non è mai facile percepire una perdita di controllo; ma dobbiamo tornare a guardare il cambiamento nella sua accezione positiva. Ed è proprio qui che si inserisce il change management che si pone come obiettivo l’innesco delle sinergie mancanti proponendo un punto di vista nuovo e gestendo la transizione da un assetto corrente a un futuro possibile e realizzabile.

Il change management nel suo agire segue essenzialmente 3 passaggi:
– l’audit preliminare: indispensabile per conoscere e poter calibrare lavorando in sinergia con l’imprenditore/referente gli obiettivi possibili. Prima coinvolgendo tutto il changing team cui presentare il progetto ed intervistando uno a uno gli attori coinvolti chiedendo loro di stilare l’elenco dei punti forti/deboli e delle criticità organizzative e relazionali
– la fase operativa in cui è fondamentale l’empowerment dei collaboratori. Ciò comporta una nuova delega ragionata delle responsabilità, ed una capacità di assunzione dei rischi da parte del personale e la conseguente attivazione di un circolo virtuoso di fiducia/risultati. Fondamentale è altresì mantenere il progetto in una logica KISS ovvero Keep It Simple and Short (rendere le cose semplici e brevi)
– monitoraggio e stabilizzazione del cambiamento per permettere una nuova fase di vita dell’azienda

In definitiva i processi di change management favoriscono la valorizzazione complessiva del capitale umano, relazionale ed organizzativo permettendo la condivisione crescente di una nuova visione sul mercato che abbracci anche un’etica del lavoro che guardi alle persone ed al loro benessere ancor prima che alla loro produttività. Impostando il lavoro in tale maniera migliora il well-being di tutti i soggetti coinvolti e, di conseguenza, aumentano il senso di appartenenza e la responsabilità nutrita nei confronti dell’organizzazione che a loro volta si riflettono positivamente sui livelli di produttività. Tutto ciò nella consapevolezza che le motivazioni al cambiamento sono assai diversificate e che, a volte, non solo spaventano ma si possono anche ricevere delle delusioni. Ma nonostante tutto questa rimane l’unica strada per affrontare la competizione nella società globale della conoscenza, dell’innovazione utile e della leadership diffusa.


 

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