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Chiara Protasi

Categories: AIF,Interviste

CHIARA PROTASI

Protasi Chiara
Docente, Formatrice.

L’innovazione tecnologica sta trasformando le relazioni umane, e il cambiamento è stato percepito anche all’interno delle organizzazioni e delle aziende con cui collaboriamo. La formazione deve innovare metodi, strumenti e spazi al fine di valorizzare la persona in un contesto sempre più digitalizzato. Quali sono i principali cambiamenti da realizzare? Il cambiamento porta con sé elementi positivi? e quali?
Il cambiamento è positivo se tutti gli attori dell’organizzazione lo comprendono e lo accolgono, riuscendo ad adattarsi alle nuove situazioni proposte. La formazione deve essere quindi primariamente rivolta a far accettare le novità, aiutando le persone a capire quanto l’innovazione possa essere utile al gruppo di lavoro.
In secondo luogo, la formazione deve servire a facilitare l’accesso alle nuove tecnologie perché, persone che non sanno utilizzare al meglio i nuovi strumenti tecnologici, creeranno un ostacolo al miglioramento e allo sviluppo dell’organizzazione/azienda.
In questo senso, i docenti dovranno essere prima di tutto consulenti della formazione, capaci di indicare ai top manager le giuste vie per migliorare la qualità della propria organizzazione, ma dovranno anche essere flessibili e adattare i contenuti che presentano allo specifico contesto aziendale. Di conseguenza, la formazione stessa deve innovare i propri metodi: le lezioni d’aula frontali dovranno essere sostituite non solo da lezioni partecipative con casi di studio, laboratori pratici e apprendimento ludico (che molti di noi già utilizzano), ma soprattutto si dovrà dare maggiore importanza alle piattaforme di condivisione, alle community, all’utilizzo di applicazioni per i moderni tablet e smart-phone, creando luoghi digitali dove si possa continuare ad apprendere “insieme”, anche senza trovarsi necessariamente nello stesso luogo fisico.
In ogni caso, la formazione deve avere come proprio fine l’insegnare a risolvere problemi attraverso collaborazione e cooperazione, anche su questioni tecniche, dando importanza alla “vera” relazione umana. L’innovazione tecnologica, se utilizzata in modo responsabile, può essere un valido, anzi, ottimo strumento per aiutare le aziende/organizzazioni e i formatori a costruire una vera a propria “intelligenza collettiva aziendale”.

 

I sistemi di intelligenza artificiale sono in grado di imparare prospettando nuove forme di vita, cioè entità sensienti di cui non possiamo prevedere, né tanto meno guidare, lo sviluppo. Come questo processo di rapido sviluppo tecnologico, che riguarda la produzione dell’intelligenza collettiva si può legare a etica e valorizzazione della cultura nei processi organizzativi aziendali? In che modo la formazione può supportare la persona affinché possa contribuire all’innovazione senza subirla passivamente?
L’argomento dell’intelligenza artificiale e del suo utilizzo nelle nostre aziende apre, a mio avviso, dubbi enormi sul nostro futuro. Purtroppo o per fortuna, dipende dal punto di vista di ciascuno, sono stati fatti giganteschi passi avanti nella creazione di esseri senzienti capaci, in un futuro molto prossimo, di sostituire l’uomo in ogni sua attività. A fronte di una tale evoluzione, è necessario che le organizzazioni agiscano ponendo come fulcro della loro azione la persona e solo in un secondo momento, il profitto: non vanno, cioè, dimenticati i valori umani nel momento in cui si decide la strategia d’impresa.
Ricollegandomi alla prima risposta, credo che, se le aziende punteranno sull’utilizzo responsabile della tecnologia per creare quella che ho volutamente definito “intelligenza collettiva aziendale”, sarà più facile far incontrare, collaborare e cooperare uomo e macchine, senza che il primo soccomba di fronte alle seconde. E’ necessario, tuttavia, che la scienza riesca a mantenere il controllo sul comportamento delle macchine, così da scongiurare finali apocalittici che per ora ci possiamo immaginare solo grazie a Hollywood, ma che se non posti sotto controllo potrebbero creare gravi disagi all’umanità intera.

 

Ieri hai detto domani. Oggi i giovani sono il futuro della nostra società, la crisi e la scarsità di investimenti rischiano di contrapporre la dimensione personale della realizzazione del sé a quella della competitività delle imprese e dei territori. In che maniera la formazione potrà far conciliare questi due estremi enfatizzando i valori strategici dell’impresa con la valorizzazione della persona nella sua essenza? In che modo la formazione può costruire una situazione ideale in azienda generando entusiasmo e partecipazione?
I più colpiti dalla crisi sono stati sicuramente i giovani. Il problema però non è da ricollegarsi solamente alla diminuzione evidente di posti di lavoro, ma anche e soprattutto alla mancanza di politiche di investimento inclusive. Ormai non si può più sperare nel tanto agognato “posto fisso” (cosa che valeva per le generazioni precedenti alla nostra), e ai giovani, infatti, oggi non manca tanto un contratto a tempo indeterminato quanto, piuttosto, le concrete possibilità di crearsi un proprio bagaglio di esperienze: mancano occasioni per farsi le ossa, la famosa “gavetta”, per mettersi in gioco e migliorarsi.
Detto ciò, è vero che i giovani non hanno lavoro, ma è vero anche che in questo modo le aziende non hanno più il motore dell’innovazione. Escludere i giovani significa precludersi un’ampia fetta di possibilità di cambiamento. Quindi il primo passo, a mio avviso, è quello di migliorare e potenziare politiche di investimento nazionali che permettano ai giovani di entrare nel mondo del lavoro e crearsi un proprio bagaglio di competenze e esperienze. Secondo passo, deve essere quello di facilitare il dialogo tra i “vecchi attori” e i “nuovi attori” dell’organizzazione/azienda. Sappiamo tutti che se si “getta” un giovane lavoratore in mezzo a un gruppo di esperti, non è detto che venga accolto positivamente. Ecco che, ricollegandomi alla mia prima risposta, la formazione, deve dare ai vari attori gli strumenti e i metodi per collaborare e cooperare, per migliorare il lavoro di gruppo, nella consapevolezza che l’innovazione fonda le sue radici nell’incontro tra passato e futuro, tra esperienza pratica (impersonata dai “vecchi attori”) e conoscenze teoriche (impersonate dai “nuovi attori”). Un incontro che poi deve necessariamente coinvolgere anche i ruoli più elevati dell’azienda/organizzazione. E’ necessario, cioè, che ci sia uno scambio di idee, soluzioni e strategie orizzontale e verticale tra i vari livelli, e la formazione, in questo senso, è fondamentale per comprendere tale processo.
Qui si inserisce il discorso sul clima aziendale caratterizzato da entusiasmo e partecipazione. Se il dipendente percepisce che l’azienda è attenta alle sue proposte e si sente parte di un gruppo capace di ascoltare la voce di ciascun membro, sarà naturalmente portato ad agire con più entusiasmo e l’azienda potrà entrare in un circolo virtuoso, dove la persona valorizzata si impegnerà maggiormente e l’azienda ne beneficerà in termini di profitto.
D’altra parte, anche in questo caso, se non c’è una formazione situata nel contesto aziendale e volta a migliorare gli strumenti e le metodologie collaborative, il circolo virtuoso non avrà luogo e tutti gli attori (vecchi e giovani) si sentiranno meri esecutori di un compito, non metteranno entusiasmo in ciò che fanno e l’azienda ne pagherà le conseguenze in competitività, innovazione e quindi in guadagni.


 

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