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Quest’anno la riflessione che vorremmo proporre riguarda il nostro lavoro quotidiano e più nello specifico tre parole:
La prima parola è sentiero, inteso come percorso quotidiano di sviluppo e conoscenza. La seconda chiave è il qui ed ora, la consapevolezza, intesa come conoscenza delle proprie competenze. Infine il cardine su cui si svolge la nostra vita, anche professionale, l’alleanza.
Partiamo con il ribadire un concetto non banale: l’azienda non è un’associazione a scopo benefico; è una organizzazione complessa il cui fine ultimo è sempre generare profitto. Tale profitto si genera se i fattori che ne costituiscono il ciclo produttivo, perciò le persone in primo luogo, agiscono con efficacia ed efficienza. L’azienda non ha come fine il benessere dei suoi lavoratori, come invece lo Stato il bene dei cittadini; i lavoratori fanno parte dell’azienda e, grazie alle loro competenze, la fanno crescere e crescono con essa.
E ora posso togliermi il cappello introduttivo da confindustriale, direi.
Celie a parte, non possiamo pensare che le aziende e i loro reparti HR abbiano a cuore le prospettive di carriera dei loro lavoratori a prescindere dal benessere della realtà medesima; devono piuttosto metterli nelle condizioni di contribuire alla crescita del sistema aziendale, arricchendo e aggiornando le loro conoscenze e competenze tramite una formazione continua che sappia coniugare gli interessi e le attitudini personali, da un lato, e i fabbisogni di professionalità specialistica, dall’altro.
Ciò significa, puntando in alto, stimolare il lavoratore a formarsi per crescere all’interno della sua realtà e contribuire in maniera proattiva, creativa, esplosiva all’espansione del business, a fronte, naturalmente, di un riconoscimento economico. Non sarà più, in questo modo, un “semplice” dipendente, ma un attore protagonista, un intraprenditore com’è uso dire recentemente, che mette a frutto i propri talenti per la realtà in cui si trova inserito. Non svolge il suo lavoro: lo reinventa ogni giorno. È necessario, per questo, che ognuno sia consapevole delle proprie attitudini e aspettative, per poter mettere a frutto i propri talenti. L’azienda può contribuire anche sotto questo aspetto?
Durante un focus group dell’Osservatorio HR del Politecnico di Milano ci era stata posta una sfida, ovvero ideare una proposta di health welfare per la propria azienda. Una delle idee emerse, che in seguito scoprii essere già adottata da alcune società, era l’introduzione di dispositivi fit-bit o simili, al fine di controllare in modo centralizzato il benessere psico-fisico dei lavoratori e poter intervenire in maniera preventiva su malesseri incipienti. Come nell’assistere a un episodio di Black Mirror, il “che figata!” ha subito lasciato il posto a “che ansia!”, al pensiero di una mail dall’ufficio HR con l’indicazione di mangiare meno pasta a pranzo, di correre almeno venti minuti al giorno o di fare tutte le mattine una seduta di mindfulness – magari non a tutti piace, e non per tutti può essere benefica. Uno dei più geniali General Manager che io conosca trova il suo equilibrio trascorrendo i fine settimana facendo trekking in montagna; un piccolo imprenditore della mia zona prende la barca e nuota in mezzo al lago di Garda appena viene la bella stagione, e passa i mesi freddi tra la casa, l’azienda e la piscina comunale; non conto sulle dita le mie colleghe che frequentano corsi di pilates, zumba, nuoto…
La consapevolezza e l’autocoscienza, credo, si raggiungono passo passo seguendo il proprio personalissimo sentiero; a guidarci possono certo essere i suggerimenti di chi abbiamo intorno e si prende, in un modo o nell’altro, cura di noi.