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Debora DeNuzzo

Categories: AIF,Interviste

  

DEBORA DE NUZZO

Progettista, consulente e formatrice aziendale

Che vantaggi può offrire la Gamification a livello esperienziale?

La formazione, i modi per progettarla e i ritmi di apprendimento delle persone sono elementi che si stanno trasformando notevolmente e sempre più velocemente. Le stesse competenze che vengono richieste alle persone sono sempre più diversificate e necessitano di conseguenza di metodologie e strumenti di trasferimento in grado di accelerare e ottimizzare i passaggi che fa il nostro cervello per apprendere.

Verso questi cambiamenti ci siamo spinti già da tempo con alcuni strumenti: pensiamo all’elearning che in non pochi casi ha agevolato le esigenze spaziali e temporali di lavoratori o studenti in remoto. Già grazie all’e-learning molte persone studiano, conseguono titoli di studio e abilitazioni mantenendo i quotidiani ritmi di lavoro ad esempio.

Ciò che non ha mai perso importanza, nonostante tutto, è la formazione d’aula o in presenza che ha dovuto però diversificarsi e arricchirsi nei metodi e negli strumenti. Motivi principali: i moderni ritmi lavoro, le maggiori richieste di competenze e capacità, le nuove forme di comunicazione più rapide, più brevi, più focused grazie agli strumenti tecnologici.

I formatori stanno vivendo a pieno questi entusiasmanti cambiamenti. Chi forma ha la responsabilità professionale e morale di acquisire, imparare, sperimentare nuove tecniche di comunicazione e motivazione capaci di coinvolgere le persone spesso inserite in strutture aziendali organizzative complesse.

Il coinvolgimento, l’engagement è frutto di più variabili: tecnica (gli strumenti che uso), metodologica (come applico gli strumenti), relazionale (empatia tra docente e discenti), motivazionale (far agire per motivi condivisi). Quest’ultima è essenziale perché nessuno agisce senza un motivo concreto personale o collettivo; un obiettivo misurabile e sfidante.

La GAMIFICATION vede i suoi vantaggi proprio nella sua capacità di toccare in maniera significativa tutte le variabili responsabili dell’engagement con un tocco di novità rispetto ai classicismi della formazione e richiamando la motivazione più ludica e più profonda di ogni individuo: imparare giocando.

La gamification è più di una tecnica o metodologia, è un approccio di progettazione all’esperienza formativa. Ha successo perché è in grado di trasformare degli ascoltatori passivi in giocatori attivi, protagonisti e responsabili delle loro azioni. Questo permette alle persone di uscire dalla propria area di confort a cui sono abituati, e superando i disagi iniziali, sentirsi attori privilegiati del percorso formativo.

Difficoltà della gamification? Poche e sicuramente superabili.

Può risultare difficile far comprendere immediatamente i vantaggi della gamification quando si è ancora in fase di progettazione del corso di formazione in questione, soprattutto a chi è stato abituato ad esperienze formative più tradizionali e poco interattive.

L’esperienza della gamification può entrare a piccoli passi nella formazione più tradizionale con piccoli momenti di gioco alternati a tecniche ancora tradizionali. L’abilità del formatore deve essere, in questi casi, quella di far crescere sempre più, in maniera graduale, i momenti più interattivi.

L’altra difficoltà, che chiamerei piuttosto impegno, è lo studio di questo approccio da parte dei formatori che sono chiamati a studiare, imparare cose nuove e sperimentare la propria capacità creativa per inventare giochi e creare situazioni in riferimento ai reali bisogni dei discenti e obiettivi delle organizzazioni.

In aiuto a questo processo di partecipazione attiva delle persone, può venire sicuramente uno dei fattori che riscontra spesso più interesse: stabilire un sistema premiante. Attraverso la gamification, le persone vedono realmente premiati i propri sforzi e questo dà grande soddisfazione, anche se il riconoscimento è solo simbolico. Anche un pizzico di competizione a volte non guasta, soprattutto nei gruppi: si tratta di un’occasione importante per imparare a gestire tanto il successo quanto la sconfitta che per alcuni ruoli è essenziale.

 

Quali strategie un’azienda oggi può adottare per il Well-Being della persona?

Far stare bene le persone a lavoro è un compito serio e importante che necessita di essere supportato da persone/consulenti esperti in questa materia. Il benessere a lavoro non si improvvisa con qualche benefit offerto, ma è frutto di un approccio culturale well being oriented, cioè un approccio che sia parte della cultura aziendale e che sia rispettoso delle persone e delle organizzazioni, rivolto al miglioramento continuo del lavoro e della salute e sicurezza delle persone.

Per questo, organizzare il well being in azienda è possibile pianificando un percorso fatto di azioni strategiche e obiettivi realizzabili, concreti, datati e misurabili: un “well being plan” progettato su misura della specifica organizzazione e realtà aziendale.

Lo smartworking è sicuramente una delle azioni più efficaci per raggiungere l’obiettivo well being perché è una modalità di lavoro che tocca insieme alla sfera lavorativa anche quella privata, conciliandole al meglio. Inoltre è efficace perché i suoi risultati in termini di felicità ed engagement sono velocemente e concretamente visibili e verificabili.

Lo smartworking fortifica l’autostima delle persone che lo fanno, li responsabilizza e li rende protagonisti degli obiettivi aziendali e non solo strumenti per arrivarci. Lo smartworking incide positivamente sulla qualità del lavoro, sulla percezione che le persone hanno del proprio lavoro e di conseguenza sull’intero clima aziendale.

Insomma, lo smartworking fa proprio bene a tutti! L’importante è che sia valutato, definito e applicato in maniera consapevole, cioè valutandone tutti i suoi aspetti organizzativi, culturali e anche normativi.

Come consulente in ambito salute, sicurezza e benessere organizzativo, vedo ancora un gran bisogno da parte delle aziende di essere informate, formate e supportate sulla gestione della sicurezza dei loro smartworkers. La giurisprudenza non ha ancora una letteratura specifica strutturata su questo tema per fornirci un punto di vista oggettivo e univoco; è possibile però guardare ai tanti casi studio di aziende che hanno superato queste problematiche limitanti, cogliendone le buone prassi. Questo lavoro può essere sicuramente facilitato con l’aiuto di un consulente esperto.

Importante, anche in tema di smartworking, è la formazione per lavoratori e manager, tra l’altro obbligatoria dal punto di vista normativo. Questa è l’altra buona occasione per conoscere e far conoscere con chiarezza questa nuova modalità di lavoro. Dalla mia esperienza, in progetti di smartworking che il mio studio segue per medio grandi aziende, posso sicuramente riportare che quanto più si investe su formazione e informazione delle persone, tanto più le aziende non avranno difficoltà nel superare anche gli aspetti più critici di sicurezza e scorrevolezza operativa ad esempio.

La formazione delle persone è essenziale quando si tratta di comunicare cambiamenti che devono essere accolti e applicati in maniera partecipata. Per cui nessun dubbio su diffusione e efficacia dello smartworking. Esorterei solo una maggiore riflessione verso la sua effettiva applicazione nelle aziende, che sia sempre più chiara anche dal punto di vista normativo, senza essere per questo limitante.

Secondariamente sarebbe interessante indagare come e se lo smartworking è in grado di generare anche altre iniziative di well being. Non dimentichiamo che il cambiamento che introduce lo smartworking non è solo di natura organizzativa, culturale, ma anche spaziale. Gli ambienti di lavoro si trasformano per abbracciare le nuove necessità delle persone e anche questo deve essere valutato e accompagnato da figure esperte. A tal proposito anche il ripensamento degli spazi di lavoro potrebbe rientrare all’interno di un percorso di well being orientato a migliorare lo stato di benessere e le performance lavorative delle persone negli spazi che quotidianamente vivono.

 

Quali competenze saranno richieste dalle aziende nel futuro mercato del lavoro?

Più che quali competenze, è la trasversalità di competenze diverse che è sicuramente necessaria già oggi e sicuramente ancora di più nel futuro mondo del lavoro. Dalle competenze tecniche a quelle più soft, da quelle gestionali relative il management delle persone, alle competenze digitali in grado di facilitare molti processi.

Credo che le competenze in ambito formativo saranno sempre più richieste in quanto la richiesta di capacità trasversali porterà le persone, i lavoratori a dover essere “iper-formati” e skillati. Per questo credo che la professione del formatore abbia davanti a sé un percorso ricco di opportunità.

Il change management generazionale è un passaggio inevitabile come è sempre stato del resto. La particolarità dei nostri giorni è che diverse generazioni convivono ancora nelle stesse realtà assistendo più ad una sorta di “STAY management generazionale” più che change. Per questo servono soluzioni/approcci e processi in grado di far emergere i potenziali di tutti: la preziosa esperienza dei vecchi manager e le nuove abilità e capacità di rielaborazione veloce di pensiero dei più giovani, queste ultime richieste più ai giorni d’oggi che in passato.

Per facilitare quindi, inizialmente, la convivenza delle diverse generazioni di manager fino al vero e proprio change management generazionale servirà sicuramente far comunicare le “classi” al meglio e il più possibile.

Il vecchio management dovrebbe essere in grado di trasferire la passione verso il lavoro e la capacità di pensiero critico in grado di cambiare e migliorare le cose.

Il nuovo management invece è quello che rivoluzionerà le modalità comunicative delle aziende, internamente ed esternamente, riducendo le gerarchie e ripensando la figura del lavoratore come persona inserita in un contesto ben più ampio del solo contesto lavorativo.

Passione, cambiamento e fattore umano saranno gli elementi centrali nel cambio generazionale, facilitanti di un clima organizzativo sano e felice oltre che produttivo e di successo, o almeno si spera!

Il nuovo management avrà sicuramente bisogno, più che in passato, di vedere facilitato il proprio lavoro, di saper gestire il proprio tempo dentro e fuori il lavoro, di governare lo stress, la fatica e la velocità del mondo intorno.

Avrà bisogno di avere capacità di conciliazione vita-lavoro sapendo dare valore a tutte le aree importanti della vita e continuare ad essere protagonista degli obiettivi propri e guida per i collaboratori.


 

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