EMILIO RAGODirettore Scientifico SCOA – The School of Coaching |
Lo scenario economico e sociale è in continua e rapida evoluzione: la trasformazione digitale ha abbracciato quasi tutti i settori ed è protagonista nei principali mercati. Oggi tuttavia la crescita delle complessità e il timore nei confronti della tecnologia, sempre più pervasiva, sembrano ostacolare il percorso che porta al sviluppo della persona, in un contesto di interazione con le organizzazioni. Il fattore umano è riconosciuto come la soft-skill principale per il moto dell’evoluzione della nostra specie, ma ci sono ancora perplessità sulla direzione che deve prendere per portare a una nuova, vera innovazione. Come può la formazione incrementare l’impatto del fattore umano per infondere alle persone e alle organizzazioni il coraggio di affrontare nuove sfide in un contesto così dinamico?
Credo che non bisogni aver paura della tecnologia informatica, che rimane pur sempre “un prodotto dell’uomo per l’uomo”. La paura della tecnologia, e più in generale, del nuovo e del cambiamento, svela inavvertitamente una severa miopia della coscienza di sé e delle potenzialità della ricchezza umana che ci rende tutte persone, uniche e irripetibili, dotate di qualità e competenze da scoprire e valorizzare. La pedagogia c’insegna che “la persona si educa con la persona” e la tecnologia, come qualsiasi invenzione della creatività umana, può essere usata bene o male. Chi la conosce e la padroneggia, non solo non la teme, ma sa come utilizzarne le enormi potenzialità comunicative e didattiche. Ad esempio: gli elementi teorico-formali della cognizione, la conoscenza dichiarativa, possono essere trasmessi, con grande efficienza ed efficacia, dalle innovative applicazioni dell’apprendimento digitale. La trasformazione digitale è trasformazione parziale di alcuni processi, metodi e strumenti didattici. Non sostituirà mai la qualità emozionale e interpersonale o la valenza educativa di un dialogo tra due coscienze umane.
Pertanto, la formazione dovrebbe assumersi un compito duplice: da un lato, comunicare con efficacia le possibilità delle trasformazioni digitali, farne conoscere l’applicabilità nei diversi ambiti, e attivare una media-tech education. Dall’altro lato, invece, dovrebbe favorire nella persona la scoperta di sé, accrescere l’auto-consapevolezza, facilitare i processi di auto-realizzazione, e con essi le credenze di auto-efficacia e l’autostima. Non si teme l’esterno, se si è interiormente forti e consapevoli.
Nel contesto globale contemporaneo la diffusione di informazioni avviene a una velocità incalzante sospinta dalla digitalizzazione. Per questo motivo il formatore deve sperimentare sempre più approcci sistemici e strumenti innovativi, anche associando differenti discipline. La formazione è sempre il luogo ideale dove generare apprendimenti in grado di produrre cambiamenti personali e professionali coerenti con le dinamiche di sviluppo dello scenario socio-economico e le esigenze competitive delle organizzazioni. Il formatore oggi è la figura che può educare all’uso consapevole della tecnologia, finalizzata al corretto sviluppo della persona. Quali sono i metodi e gli strumenti tecnologici a disposizione del formatore in grado di migliorare l’interazione tra scenario sociale e competitività economica? Quanto questi strumenti influenzano i processi di formazione?
Le tecnologie digitali contribuiscono a rendere l’apprendimento più personalizzato, efficiente e approfondito, in base alle esigenze ed al livello motivazionale dell’individuo. La garanzia di extra-temporalità ed extra-spazialità di molte applicazioni asincrone favorisce anche l’ottimizzazione dei tempi e dei ritmi di apprendimento. Sul fronte della progettazione, di conseguenza, cambiano sia le variabili di strutturazione di un percorso formativo che le attività di sviluppo a livello micro. Si favorisce una ricchezza comunicativa che sfrutta la potenzialità multimediale della tecnologia informatica. Si arricchiscono i metodi e cambiano un po’ anche i paradigmi formativi. L’esperienza soggettiva ritorna centrale nei processi formativi (v. flipped classroom), cambiano un po’ le competenze e i ruoli dei docenti, chiamati a sviluppare capacità di facilitazione, tutoring. Gli studenti sono sempre più sollecitati sulle competenze cognitive e trasversali del pensiero critico, di analisi e sintesi, di creatività, di problem solving, di apprendere dall’esperienza, di appendere ad apprendere, di intelligenza emotiva. Il paradigma di apprendimento più diffuso tra i Millennials è quello del connettivismo, questa recente teoria dell’apprendimento nell’era digitale che enfatizza il ruolo del contesto sociale e culturale dove e quando avviene l’apprendimento. Luoghi elettivi diventano gli ambienti del personal learning environment (PLE) che integrano funzionalità differenti: bookmarking, feed aggregator, social media sharing, micro-blogging, podcasting, online searching, collaborative applications, online audio-video repositories, software, gamification, instant polling, webinar, web-based learning communities, e così via.
La maggior parte delle scoperte, dalle grandi innovazioni scientifiche agli step esperienziali della crescita di ognuno di noi, avvengono attraverso il continuo imbattersi in errori e ostacoli. La possibilità di sbagliare, se circoscritta a un contesto adeguato, è il motore del miglioramento personale. Ad esempio Cristoforo Colombo, imbarcandosi con le 3 caravelle nel 1492, ha colto l’episodio di serendipità più influente nella storia moderna: mirando a raggiungere le Indie, scoprì l’America. Nella serendipità, ovvero la possibilità di imbattersi in felici scoperte per puro caso, è determinante l’influenza della specifica realtà in cui si opera. Il compito del formatore è operare attraverso la centralità della persona, legando tramite l’apprendimento il contesto dello scenario socio-economico allo sviluppo umano. Attraverso quali pratiche il formatore può trasmettere alla persona i mezzi necessari per la crescita dell’individuo nella realtà locale?
La riflessione va fatta non tanto sulla pratica formativa ma, come ci insegna Chris Argyris, va sussunta metacognitivamente al suo livello paradigmatico, mettendo cioè in discussione gli assunti su cui poggia la stragrande maggioranza della formazione aziendale contemporanea e la tradizionale interpretazione di ruolo del formatore d’aula. Qual è il valore e il messaggio antropologico sottostante ad una pratica formativa che si dà come compito quello di trasmettere alla persona saperi, metodi e tecniche? Il primo passaggio mentale da fare, secondo me, è quello di riconoscere l’equivalenza distorta “formazione=istruzione” della formazione strumentale cui assistiamo in azienda: “Io formatore / io azienda ti dico chi devi essere, cosa devi fare e come fare”. È favorire negli adulti una dimensione di dipendenza esterna, senza abilitare i processi di individuazione adulta e di riflessione interiore. Molta formazione aziendale non mette a fuoco questa criticità, e nonostante ciò, le organizzazioni poi chiedono alle persone la resilienza, la creatività, la flessibilità, il giudizio critico, e, soprattutto, la…. leadership! È un corto-circuito di cui dovremmo renderci conto.
Il secondo passaggio è quello di avvalorare la complessità pedagogica dell’educazione della persona, spostando l’attenzione dal “dare una forma precisa, predefinita a priori” alla pedagogia fenomenologica, come asserisce Piero Bertolini. Provo a dirlo in altri termini.
Per crescere nella realtà locale, non dobbiamo più riempire la testa delle persone di teorie, modelli, role play, tecniche, regole, ma creare quelle condizioni pedagogiche che consentano di inverare ciò che già sussiste nell’individuo. Le persone devono essere aiutate a trarre fuori da sé ciò che già in loro sussiste come talento, carisma, preferenza, predisposizione soggettiva. Il progetto educativo deve essere intenzionale ma non può avere un obiettivo predefinito e valido erga omnes. Il fine deve esserlo: ossia promuovere l’umanità che è nell’uomo. “Assumere una coscienza critica di se stessi e la conoscenza problematica del mondo”, come ci puntualizza Mario Gennari nel Trattato di Pedagogia Generale. Solo così l’uomo riesce a produrre condotte consapevoli, critiche, creative, indipendenti, autonome e responsabili. Con il passaggio dalla “formazione=istruzione” alla Formazione e all’educazione, l’uomo sviluppa da sé, in modo creativo e più umano quei mezzi che gli servono per integrarsi armonicamente e produttivamente nella cultura della società cui appartiene, a crescere nella sua realtà locale, e a sviluppare equilibri dinamici e competenze trasversali che gli consentono di affrontare il cambiamento, apprendendo dalle esperienze e accrescendo la creatività.
Pertanto, la formazione dovrebbe assumersi un compito duplice: da un lato, comunicare con efficacia le possibilità delle trasformazioni digitali, farne conoscere l’applicabilità nei diversi ambiti, e attivare una media-tech education. Dall’altro lato, invece, dovrebbe favorire nella persona la scoperta di sé, accrescere l’auto-consapevolezza, facilitare i processi di auto-realizzazione, e con essi le credenze di auto-efficacia e l’autostima. Non si teme l’esterno, se si è interiormente forti e consapevoli.
Il secondo passaggio è quello di avvalorare la complessità pedagogica dell’educazione della persona, spostando l’attenzione dal “dare una forma precisa, predefinita a priori” alla pedagogia fenomenologica, come asserisce Piero Bertolini. Provo a dirlo in altri termini.
Per crescere nella realtà locale, non dobbiamo più riempire la testa delle persone di teorie, modelli, role play, tecniche, regole, ma creare quelle condizioni pedagogiche che consentano di inverare ciò che già sussiste nell’individuo. Le persone devono essere aiutate a trarre fuori da sé ciò che già in loro sussiste come talento, carisma, preferenza, predisposizione soggettiva. Il progetto educativo deve essere intenzionale ma non può avere un obiettivo predefinito e valido erga omnes. Il fine deve esserlo: ossia promuovere l’umanità che è nell’uomo. “Assumere una coscienza critica di se stessi e la conoscenza problematica del mondo”, come ci puntualizza Mario Gennari nel Trattato di Pedagogia Generale. Solo così l’uomo riesce a produrre condotte consapevoli, critiche, creative, indipendenti, autonome e responsabili. Con il passaggio dalla “formazione=istruzione” alla Formazione e all’educazione, l’uomo sviluppa da sé, in modo creativo e più umano quei mezzi che gli servono per integrarsi armonicamente e produttivamente nella cultura della società cui appartiene, a crescere nella sua realtà locale, e a sviluppare equilibri dinamici e competenze trasversali che gli consentono di affrontare il cambiamento, apprendendo dalle esperienze e accrescendo la creatività.