FEDERICO POLIDORI
|
Micro e macro interagiscono costantemente generando motivazioni, impegno e partecipazione della persona. Per questi motivi il formatore deve sperimentare sempre più approcci sistemici e strumenti innovativi, anche associando differenti discipline. La formazione è sempre più esperienziale, e il luogo ideale dove generare apprendimenti in grado di produrre cambiamenti personali e professionali coerenti con le dinamiche di sviluppo dello scenario socio-economico e le esigenze competitive delle organizzazioni.
Quali sono i metodi e gli strumenti a disposizione del formatore in grado di migliorare l’interazione tra scenario sociale e competitivo, organizzazione e persona al fine di arrivare alla giusta comprensione delle dinamiche economiche e industriali, all’uso consapevole della tecnologia e al corretto sviluppo personale?
Dal mio punto di vista, uno strumento che, partendo dalla Persona, ruoti e si addentri tra le dinamiche economiche e industriali, l’uso consapevole della tecnologia e un corretto sviluppo personale, è il coaching, in ogni suo modello e orientamento, o comunque, qualsiasi forma di guida che dia modo alla Persona di attingere a una diversa modalità di approcciarsi, vedere, intendere il contesto economico in cui il suo ruolo è inserito. Medesimo discorso vale per l’utilizzo della tecnologia, per la quale, oltre a corsi addestrativi di taglio pratico su specifiche competenze digitali, a lavorare in maniera efficace “sull’uso consapevole” trovo ben adatte due tipologie di metodo. Da un lato, lo sfruttare la tecnologia adottando sistemi di formazione e-learning quali FAD, webinar, community e quant’altro, al fine di adattare obiettivi e logiche di apprendimento non solo ai bisogni organizzativi e individuali ma anche a quelli più strumentali, come “link” connettivo tra oggetto del formare e mezzo a supporto. Dall’altro, l’implementazione di progetti all’insegna della gamification che, non solo permette di elaborare e applicare strategie ludiche a contesti di vario tipo, quindi di agire direttamente sul “mind set” dell’individuo, ma anche di sperimentare “on line” dinamiche economiche sfruttando principi quali l’immediatezza, il coinvolgimento e la flessibilità d’utilizzo del mezzo tecnologico. Per tornare in maniera circolare al coaching quale strumento di sviluppo personale, sempre in tale area, trovo sempre più efficaci interventi di formazione esperienziale, non tanto in termini di utilizzo di determinate metafore a seconda di contesti indoor od outdoor, bensì degli impatti che riescono a generare a livello di apertura alla relazione e all’emozione, quali forme di energia inespresse o inesprimibili, a cui dare almeno qualche traccia di presenza. Infine, trovo molto interessante come anche il panorama delle classiche “soft skills” si stia progressivamente orientando a un “restyling”, per cui compaiono corsi dedicati allo sviluppo di nuove competenze come l’e-leadership o l’e-negotiation, che uniscono al lato manageriale il risvolto digitale, in un’ottica di cambiamento complessivo, dalla Persona all’organizzazione e viceversa, sfruttando la scia delle opportunità di crescita e/o di business che tale neo assetto comporta.
La terza rivoluzione industriale, nel 1970, ha segnato la nascita dell’informatica. La data d’inizio della quarta rivoluzione industriale non è ancora definita, probabilmente perché è tuttora in corso e solo a posteriori sarà possibile identificarne l’atto fondante. La moltiplicazione della complessità è una delle caratteristiche dell’innovazione, per cui di fronte a una tecnologia sempre più amichevole e familiare, ci si confronta con un’incertezza continua che rende complesso identificare il senso e la direzione del cambiamento. Ci avviamo verso un futuro in cui intelligenza artificiale, robotica e persone interagiranno nelle nostre organizzazioni.
In questo contesto quali metodi e strumenti possono essere utilizzati nella formazione professionale per facilitare un inserimento sensato e un uso consapevole di tecnologie abilitanti fondamentali per l’internazionalizzazione e la realizzazione di Industria 4.0?
In uno scenario organizzativo all’insegna dell’Industria 4.0, caratterizzato da un aumento esponenziale della disponibilità d’informazione attraverso molteplici canali digitali, i processi produttivi si basano su di un utilizzo sempre più strategico di base dati, finalizzate non solo all’ottimizzazione dei prodotti ma anche a una maggiore capacità di analisi e segmentazione delle informazioni stesse (Big Data & Analytics). Da qui, l’uso preponderante di piattaforme digitali di comunicazione, in Cloud con varianti annesse, supporta e agevola la trasmissione di quelle moli di dati su sistemi aperti che, oltre a dare concretezza al concetto “quasi obsoleto” di flessibilità, abbattono costi, permettendo una resa immediata e oggettiva dei risultati a cui mira lo strumento digitale, in un’ottica di innovazione multidirezionale e comunicazione globale. A livello di intelligenza artificiale, poi, la programmazione di sistemi informatici capaci di apprendere e di comunicare in maniera continuativa da e con l’ambiente in cui operano, è l’anticamera produttiva delle fabbriche intelligenti. Inoltre, i CPS (Cyber-Physical Systems) si basano su tre capacità chiave che, dal mio punto di vista, possono rappresentare un orientamento formativo in termini di competenze da sviluppare; mi riferisco alla capacità computazionale, che dalla macchina all’essere umano si può mutuare come elaborazione dati, la comunicazione e la capacità di controllo. Da tale presupposto, parziale e a titolo puramente esemplificativo in termini di “skill” da allenare, in rapporto alla facilitazione di un inserimento davvero sensato e a un uso più che consapevole di tecnologie abilitanti, da un lato, trovo adatto l’utilizzo di moduli e-learning specifici, di taglio tecnico, con affiancamenti on line, dall’altro, ritengo produttiva la creazione di virtual classrooms che, sfruttando i sistemi di web conferencing, agevolano l’apprendimento mediante il confronto interattivo e la condivisione di materiali. Mentre la prima modalità la vedo più utile, senza nulla togliere all’efficacia, a una formazione professionale più lineare da un punto di vista prettamente didattico, la seconda impatta anche sul versante relazionale, dando, personalmente, un valore aggiunto in termini umani, che “ben si adatta”, meglio integra, al lato tecnologico. Entrambe le metodologie si accordano a una modalità di erogazione che sfrutti a pieno la formula blended, sia come sperimentazione di più approcci formativi che sappiano riflettere anche un nuovo modo di intendere la formazione sia per il continuo sviluppo di soluzioni adattive che sfruttino la tecnologia quale neo canale di apprendimento, più o meno immediato, a seconda degli strumenti presi in considerazione. Quindi, per tornare brevemente ai sistemi ciber-fisici, in linea con il potenziamento di capacità quali il saper elaborare informazioni in maniera precisa e veloce, padroneggiare una comunicazione “social” chiara ed efficace o avere ottime doti di pianificazione e controllo (tutte capacità che combaciano a pieno con caratteristiche di tipo “artificiale”), secondo me, la formazione deve necessariamente adattarsi alla modalità tecnologica, non tanto per snaturarsi o reagire passivamente al cambiamento tecno economico globale, bensì per sostenere in maniera attiva quell’inserimento sensato che avvicini al meglio “l’uomo alla macchina”, per agire sulla consapevolezza d’utilizzo dei media, in ogni loro forma e applicazione. Infine, il concetto stesso di internazionalizzazione, che spazia dall’economia all’azienda e dalla linguistica all’informatica, citando solo alcuni esempi, si basa su di un continuo processo di elaborazione di piani, strategie e accordi finalizzati a distribuire e far conoscere marchi o prodotti in altri contesti transnazionali, dove ormai il contatto, la relazione e l’idea stessa di scambio viaggiano, non più metaforicamente, sulla scia tecnologica della ‘rete’: uno spazio in cui la libera espressione di idee, alla costante ricerca di una forma in continuo mutamento, possa trovare il giusto mezzo di condivisione per creare conoscenza e generare apprendimento.
I giovani si trovano di fronte a nuove e importanti sfide che prospettano rischi e opportunità. La trasformazione digitale ha portato un cambiamento della natura stessa del lavoro che causerà un inevitabile riassestamento della società. In settori storici stanno scomparendo numerosi posti di lavoro mentre altri segmenti di mercato vivono un momento fiorente sollecitando la continua ricerca di nuove figure professionali. Cambiano di conseguenza le competenze e le abilità ricercate: nel 2020 il problem solving rimarrà la soft skill più ricercata, ma rivestiranno altrettanta importanza il pensiero critico e la creatività da impiegare per attività di co-progettazione e co-sperimentazione di prodotti o servizi innovativi.
Quale formazione ritiene utile per supportare l’evoluzione delle organizzazioni e lo sviluppo di nuova occupazione?
Per esperienza diretta sul campo, trovo utile, produttiva ed estremamente arricchente una formazione che parta proprio dal punto di vista dei giovani, dalle loro esperienze di studio, tirocinio, stage e di lavoro che siano. Mi riferisco proprio al modo soggettivo con il quale guardano non solo al contesto lavorativo ma anche all’economia, alle mode e tendenze sociali, all’uso della tecnologia e al futuro. Le “nuove generazioni”, termine con il quale mi riferisco sia ai giovani nel loro insieme, comprendendo anche gli adolescenti, sia alle future Risorse che si stanno affacciando al mondo del lavoro, hanno sviluppato, e reputo siano costantemente sollecitati a sviluppare, una capacità di elaborare e trasformare le informazioni alla medesima velocità, o meglio, secondo una struttura dinamica che rispecchia le caratteristiche di internet. L’impatto e le esperienze multisensoriali dell’ambiente digitale esercitano un’influenza modellatrice sul cervello plastico dei giovani, in costante rapporto con mezzi e strumenti che lo contraddistinguono. Di conseguenza, il sapere stesso si fa più fluido, immediato, così come i fenomeni percettivi che dalla rete digitale rimbalzano nel quotidiano lavorativo e vi ritornano per rigenerarsi e creare altro, attraverso forum, blog, ricerche indicizzate che permettono di mantenere viva una formazione che, dal mio punto di vista, supera abbondantemente la classica nozione di “learning by doing”. Sono i modi, le visioni, le idee che hanno i giovani, a mio vedere, la base sulla quale costruire e supportare l’evoluzione stessa delle organizzazioni; peccando pretestuosamente di retorica sulla nota citazione darwiniana del “non sopravvive il più forte o il più intelligente, ma chi si adatta più velocemente al cambiamento”, nel panorama “tecno-economico” contemporaneo, la capacità cognitiva dei “nativi digitali” può davvero costituire una leva culturale di cui impadronirsi, fare tesoro e alimentare per sviluppare occupazione, prodotti e servizi. L’imperversare delle professioni digitali, l’avvento e il proliferare di master e corsi professionalizzanti in tale ambito, di siti e blog personali, di trend dell’e-commerce e quant’altro costituiscono una realtà di fatto che, sebbene a volte tenda a sostituire il fine col mezzo, amplia il concetto stesso di possibilità, di idea e di fenomenologia organizzativa. Al di là del linguaggio, quando mi confronto con giovani colleghi e collaboratori, che spaziano da ruoli di web marketing a operatori della formazione, da professionisti multidisciplinari a game designers, resto affascinato dal loro modo di ragionare e, ancora di più, da come inquadrano i problemi per affrontarli con logiche e/o intuizioni immediate, dovute a un sistema di ragionamento “di taglio digitale” che apporta un valore aggiunto in termini di pensiero critico e creativo, almeno per quanto concerne la mia esperienza, evitando generalizzazioni o casistiche particolari di sorta. Le modalità con cui vengono processate le informazioni, la capacità di visione unita a un’immediata resa operativa, la crescita esponenziale di dati e aggiornamenti disponibili in rete e il cambiamento di velocità dei cicli di vita di prodotti e idee, secondo me, sono solo alcuni “stimoli” alla base di una continua ricerca di figure professionali in divenire che riescano “a star dietro” agli sviluppi della rete e della tecnologia in ogni loro contesto o espansione che sia, con tutti i pro e i contro che tale fenomeno digitale può comportare. Per concludere, penso sia utile proporre una formazione che prenda spunto da come oggi pensano i giovani rispetto a cosa sanno, al fine di comprendere l’orientamento professionale su cui investire, progettando interventi formativi in maniera molto fluida, destrutturata, che si accordi quanto più possibile alle nuove ed emergenti esigenze organizzative, difficilmente inquadrabili in contesti locali, forse più comprensibili a livello digitale.
In questo contesto quali metodi e strumenti possono essere utilizzati nella formazione professionale per facilitare un inserimento sensato e un uso consapevole di tecnologie abilitanti fondamentali per l’internazionalizzazione e la realizzazione di Industria 4.0?
Quale formazione ritiene utile per supportare l’evoluzione delle organizzazioni e lo sviluppo di nuova occupazione?