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Giorgia Ortu La Barbera

Categories: AIF,Interviste

  

GIORGIA ORTU LA BARBERA

HR Consultant, psicologa e coach. Strategy & Project Design di Eleva, la business unit di Zeta Service specializzata in sviluppo del capitale umano

Che vantaggi può offrire la Gamification a livello esperienziale?

Superate le logiche delle porte chiuse e della separazione tra ambienti, persone e funzioni, lo spazio aziendale sta diventando uno spazio totalmente sociale.

Spesso la socializzazione si svolge negli ambienti condivisi degli open space, negli spazi informali del nuovo concetto di workplace, nei profili aziendali sui social network, in un ambiente, quindi, definitivamente comune.
In questa nuovo setting anche il concetto di engagement muta, arrivando a comprendere la “vita” aziendale tout court, fatta di lavoro ma anche di relazioni, affetti, legami.

In questo scenario, la gamification può evocare con immediatezza, attraverso il linguaggio universale del gioco, dinamiche proprie del concetto di engagement: senso della sfida, gioco di squadra, superamento della sconfitta, dinamiche win-win, divertimento per il gusto del divertimento, appartenenza.

Le maggiori difficoltà risiedono nella progettazione di dinamiche aderenti al contesto e ai target, tenendo in considerazione le diversità generazionali, e nella scelta della “piattaforma”, tra il fascino esercitato dal digitale e la concretezza di cui è ancora capace la tradizione analogica.

 

Quali strategie un’azienda oggi può adottare per il Well-Being della persona?

Programmi orientati al well being non possono prescindere dalla conoscenza dei bisogni della popolazione aziendale. I dati lo confermano, indicando che spesso le aziende implementano progetti poco coerenti rispetto ai propri target interni di riferimento, facendo fallire i programmi di welfare.

Lo smart working nasce spesso in risposta ad un’istanza di work-life balance: in realtà, il lavoro agile porta con sé dinamiche più complesse, legate al cambiamento dei vecchi paradigmi organizzativi fondati sulla presenza. Il work-life balance è una conseguenza, che arriva dopo aver scardinato convinzioni che accompagnano il concetto di lavoro dai tempi della rivoluzione industriale, centrate sul controllo.

Lo smart working ha un impatto positivo per entrambe le parti, a condizione che sia accompagnato da un cambiamento nella cultura manageriale e da una – seppur minima – trasformazione digitale che faciliti (e non complichi!) il lavoro fuori dalle mura aziendali.

 

Quali competenze saranno richieste dalle aziende nel futuro mercato del lavoro? Cosa serve per facilitare il change management generazionale?

La robotizzazione del lavoro sta portando verso profili di competenze che siano in grado di differenziarsi in maniera chiara e netta dall’apporto non-umano al lavoro. In quest’ottica, le competenze richieste dalle aziende nel futuro saranno sempre più legate alla capacità (tutta umana) di dare un apporto in termini di pensiero: la capacità di analisi della realtà, di sensemaking, di leggere la complessità, di prendere decisioni in situazioni di incertezza e volatilità, di assumersi dei rischi, di sovvertire delle certezze, saranno sempre più abilità preziose e valorizzate nei contesti aziendali. Al contempo, la caratteristica anch’essa tutta umana di empatia sarà il vero differenziale tra l’uomo e la macchina.

Il tema del change management, più che generazionale, è di tipo culturale: per facilitare il cambiamento serve mettersi in una condizione di curiosa attenzione verso la diversità (generazionale, ma non solo) per esplorarla con il desiderio della scoperta, invece che con il piglio giudicante della differenziazione.


 

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