LORETTA SIMONI
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Micro e macro interagiscono costantemente generando motivazioni, impegno e partecipazione della persona. Per questi motivi il formatore deve sperimentare sempre più approcci sistemici e strumenti innovativi, anche associando differenti discipline. La formazione è sempre più esperienziale, e il luogo ideale dove generare apprendimenti in grado di produrre cambiamenti personali e professionali coerenti con le dinamiche di sviluppo dello scenario socio-economico e le esigenze competitive delle organizzazioni.
Quali sono i metodi e gli strumenti a disposizione del formatore in grado di migliorare l’interazione tra scenario sociale e competitivo, organizzazione e persona al fine di arrivare alla giusta comprensione delle dinamiche economiche e industriali, all’uso consapevole della tecnologia e al corretto sviluppo personale?
Cambiamento e innovazione – oggi ormai dei must anche per le pubbliche amministrazioni – non possono essere disgiunti dal concetto di organizzazione: la capacità delle persone di essere inclini al cambiamento è determinante per poterla trasferire nel concreto in processi e prodotti a contenuto innovativo.
Nelle pubbliche amministrazioni spesso manca il coraggio di innovare, principalmente per il timore di scarmigliare logiche e assetti organizzativi consolidati e perciò rassicuranti. Nella cassetta degli attrezzi di lavoro, alcuni utensili non sono ancora presenti in misura soddisfacente: la capacità di assumersi dei rischi, la voglia di lanciare progetti che potrebbero non essere destinati al successo immediato, l’attitudine a sviluppare le competenze trasversali
Proprio la cultura è uno di quei settori che più di ogni altro può dare impulso alla capacità di innovare e governare il cambiamento, se diamo per assodato che il cambiamento è ormai una dimensione strutturale del nostro agire, più che un fenomeno sporadico.
Antonio Lampis ha affermato che oggi “un’iniziativa culturale ha successo, vale a dire convince una persona a uscire, quando soddisfa contemporaneamente due desideri dei quali spesso non si è del tutto consapevoli: imparare qualcosa mentre si provano delle emozioni in un contesto potenzialmente socializzante”. Questa definizione contiene in sé fortissime implicazioni innovative e formative, laddove si immagini, per esempio, che il tessuto urbano, i beni culturali, i musei possano essere esplorati e vissuti con un processo di riappropriazione che non può essere disgiunto dal loro speciale valore simbolico. La scelta che il Comune di Vicenza ha fatto in questi ultimi anni va proprio in questa direzione: il patrimonio culturale come risorsa da valorizzare per generare circuiti virtuosi; l’apertura ai privati di spazi monumentali per eventi a pagamento; l’eredità palladiana come valore aggiunto dell’offerta turistica; una gestione delle risorse umane ed economiche basata su efficientamento delle spese e trasversalità delle funzioni. Una strategia che ha pagato ed è confermata da storie, numeri e dati statistici. Come è stato possibile tutto questo? Anche attraverso percorsi di apprendimento individuale e/o modalità di coinvolgimento e avvicinamento in prima persona del personale nella realizzazione del progetto culturale e nelle attività di formazione interna svolta dagli stessi componenti del team di lavoro. Un’organizzazione non è un insieme di singoli individui: semmai un insieme di relazioni tra individui, strutture, strumentazioni, tecnologie. Il gioco che si crea è dato dall’interazione di questi elementi. Per tali ragioni, il cambiamento, lo spostamento di prospettive, non avvengono perché tutti i singoli componenti cambiano ma perché essi sono capaci di cambiare continuamente il loro schema di gioco. Per questo è limitativo ricondurre la formazione all’interno di un ente al “sapere” (una nuova normativa, un regolamento, un programma) o al “saper fare”. L’investimento principale necessario è quello sul “saper essere”.
Il dubbio che la realtà possa anche essere diversa da come ce la vediamo, ma che anche noi possiamo essere diversi da come quotidianamente ci immaginiamo, deve diventare – paradossalmente – una delle nostre certezze.
Nelle pubbliche amministrazioni spesso manca il coraggio di innovare, principalmente per il timore di scarmigliare logiche e assetti organizzativi consolidati e perciò rassicuranti. Nella cassetta degli attrezzi di lavoro, alcuni utensili non sono ancora presenti in misura soddisfacente: la capacità di assumersi dei rischi, la voglia di lanciare progetti che potrebbero non essere destinati al successo immediato, l’attitudine a sviluppare le competenze trasversali
Proprio la cultura è uno di quei settori che più di ogni altro può dare impulso alla capacità di innovare e governare il cambiamento, se diamo per assodato che il cambiamento è ormai una dimensione strutturale del nostro agire, più che un fenomeno sporadico.
Antonio Lampis ha affermato che oggi “un’iniziativa culturale ha successo, vale a dire convince una persona a uscire, quando soddisfa contemporaneamente due desideri dei quali spesso non si è del tutto consapevoli: imparare qualcosa mentre si provano delle emozioni in un contesto potenzialmente socializzante”. Questa definizione contiene in sé fortissime implicazioni innovative e formative, laddove si immagini, per esempio, che il tessuto urbano, i beni culturali, i musei possano essere esplorati e vissuti con un processo di riappropriazione che non può essere disgiunto dal loro speciale valore simbolico. La scelta che il Comune di Vicenza ha fatto in questi ultimi anni va proprio in questa direzione: il patrimonio culturale come risorsa da valorizzare per generare circuiti virtuosi; l’apertura ai privati di spazi monumentali per eventi a pagamento; l’eredità palladiana come valore aggiunto dell’offerta turistica; una gestione delle risorse umane ed economiche basata su efficientamento delle spese e trasversalità delle funzioni. Una strategia che ha pagato ed è confermata da storie, numeri e dati statistici. Come è stato possibile tutto questo? Anche attraverso percorsi di apprendimento individuale e/o modalità di coinvolgimento e avvicinamento in prima persona del personale nella realizzazione del progetto culturale e nelle attività di formazione interna svolta dagli stessi componenti del team di lavoro. Un’organizzazione non è un insieme di singoli individui: semmai un insieme di relazioni tra individui, strutture, strumentazioni, tecnologie. Il gioco che si crea è dato dall’interazione di questi elementi. Per tali ragioni, il cambiamento, lo spostamento di prospettive, non avvengono perché tutti i singoli componenti cambiano ma perché essi sono capaci di cambiare continuamente il loro schema di gioco. Per questo è limitativo ricondurre la formazione all’interno di un ente al “sapere” (una nuova normativa, un regolamento, un programma) o al “saper fare”. L’investimento principale necessario è quello sul “saper essere”.
Il dubbio che la realtà possa anche essere diversa da come ce la vediamo, ma che anche noi possiamo essere diversi da come quotidianamente ci immaginiamo, deve diventare – paradossalmente – una delle nostre certezze.