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Quest’anno la riflessione che vorremmo proporre riguarda il nostro lavoro quotidiano e più nello specifico tre parole:
La prima parola è sentiero, inteso come percorso quotidiano di sviluppo e conoscenza.
Sono due le parole che, in questo momento, mi inducono ad una riflessione. Che è sia professionale che personale. Due parole che per me sono profondamente legate e che mi richiamano al senso ultimo del nostro essere professionisti, formatori ma, soprattutto, persone che scelgono consapevolmente di lavorare in contesti relazionali di crescita e sviluppo. Mi riferisco alle parole sentiero e consapevolezza.
La parla sentiero evoca immagini suggestive, legate al concetto di viaggio, di strada da percorrere, ma anche di salite impervie e di fatica. Penso quindi anche allo sforzo e alla stanchezza del camminare in salita. Ma è nel cammino che ci permettiamo di crescere. È nel cammino in salita che scopriamo, quando manca il fiato, i nostri limiti e le nostre risorse. Ma è sempre lì che riusciamo a vedere meglio i nostri orizzonti.
È nel cammino che si trova la strada.
Cito Kierkegaard, ricordo dei miei studi in filosofia, che ci invita a riflettere sul valore positivo del cammino. “Soprattutto, non perdere la voglia di camminare: io, camminando ogni giorno, aggiungo uno stato di benessere e mi lascio alle spalle ogni malanno; i pensieri migliori li ho avuti mentre camminavo, e non conosco pensiero così gravoso da non poter essere lasciato alle spalle con una camminata… ma stando fermi si arriva sempre più vicini a sentirsi malati… Perciò basta continuare a camminare, e andrà tutto bene”.1
Il sentiero è anche perdersi quando sembra non aver chiari i percorsi. Mi piace pensare alla formazione proprio come ad un viaggio attraverso sentieri diversi.
O forse mille viaggi attraverso sentieri che a volte si incrociano. Il sentiero mi richiama anche alla natura viandante che caratterizza la vita di molti formatori come me, spesso in viaggio per muoversi tra clienti e progetti diversi.
Questo viaggiare continuo è esso stesso momento formativo, di crescita, scoperta e occasione di riflessione generativa.
La seconda chiave è il qui ed ora, la consapevolezza, intesa come conoscenza delle proprie competenze.
La consapevolezza è qui intesa come conoscenza profonda di sè stessi, delle proprie esperienze e delle proprie emozioni, delle proprie risorse ma anche dei propri limiti. Credo che per un formatore sia essenzialmente una forte consapevolezza.
E’ prerequisito indispensabile, perché ci permette di ri-conoscerci prima ancora di conoscere l’altro, di essere presenti a se stessi per poter lavorare seriamente ed eticamente con gli altri. Entrare in aula significa anche mettersi a nudo, mettendosi continuamente in gioco. Condividendo con onestà, trasparenza e professionalità con il proprio bagaglio di esperienze, vissuti emotivi, saperi e competenze. Credo sia sempre indispensabile, in questa ottica, un lavoro profondo e costante- un continuo cammino- su di sè e su cosa ci spinge ad entrare in aula ogni giorno.
Credo fortemente nella dimensione educativa del nostro lavoro.
Un lavoro che è esso stesso un percorso, che si sviluppa attraverso sentieri diversi, a volte persino tortuosi e non sempre di facile lettura.
Consapevoli anche delle responsabilità che abbiamo quando qualcuno decide di passare del tempo con noi e di investire in un percorso di trasformazione.
Consapevolezza come conoscenza, quindi, ma anche come responsabilità delle dinamiche che possono generarsi in aula e che ogni formatore deve essere in grado di riconoscere e gestire con competenze e rigore etico.
È nel cammino che si trova la strada.
O forse mille viaggi attraverso sentieri che a volte si incrociano. Il sentiero mi richiama anche alla natura viandante che caratterizza la vita di molti formatori come me, spesso in viaggio per muoversi tra clienti e progetti diversi.
Questo viaggiare continuo è esso stesso momento formativo, di crescita, scoperta e occasione di riflessione generativa.
La seconda chiave è il qui ed ora, la consapevolezza, intesa come conoscenza delle proprie competenze.
E’ prerequisito indispensabile, perché ci permette di ri-conoscerci prima ancora di conoscere l’altro, di essere presenti a se stessi per poter lavorare seriamente ed eticamente con gli altri. Entrare in aula significa anche mettersi a nudo, mettendosi continuamente in gioco. Condividendo con onestà, trasparenza e professionalità con il proprio bagaglio di esperienze, vissuti emotivi, saperi e competenze. Credo sia sempre indispensabile, in questa ottica, un lavoro profondo e costante- un continuo cammino- su di sè e su cosa ci spinge ad entrare in aula ogni giorno.
Credo fortemente nella dimensione educativa del nostro lavoro.
Un lavoro che è esso stesso un percorso, che si sviluppa attraverso sentieri diversi, a volte persino tortuosi e non sempre di facile lettura.
Consapevoli anche delle responsabilità che abbiamo quando qualcuno decide di passare del tempo con noi e di investire in un percorso di trasformazione.
Consapevolezza come conoscenza, quindi, ma anche come responsabilità delle dinamiche che possono generarsi in aula e che ogni formatore deve essere in grado di riconoscere e gestire con competenze e rigore etico.