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Luigi Bastianello

Categories: AIF,Interviste

  

LUIGI BASTIANELLO

HR Manager CAME

Che vantaggi può offrire la Gamification a livello esperienziale?

Partiamo da qualche dato: l’AESVI, l’Associazione Editori Sviluppatori di videogiochi Italiani, ci dice che in Italia nel 2017 il settore ha registrato un giro d’affari di quasi 1,5 miliardi di euro. Il 57% tra i 16 e i 64 anni (circa 17 milioni di persone), ha giocato ai videogiochi negli ultimi 12 mesi. Di questi il 59% sono uomini e il 41% donne. Se guardiamo alle fasce di età, le donne (13%) si collocano nella fascia compresa tra i 25 e i 34 anni, mentre i giocatori maschili si concentrano nelle fasce d’età 25-34 (15%), 35-44 (13%) e 45-54 anni (12%).
Questo vuol dire una sola cosa: che i giochi piacciono e a tutti piace giocare: 6 genitori su 10 affermano di giocare con i loro figli e ritengono che videogiocare sia un’attività divertente da fare in famiglia.

Quando il coinvolgimento delle persone quando è associato a stimoli adeguati consente di rendere piacevoli sessioni di gioco anche di ore. Attenzione, non parliamo di ludopatie, né sottovalutiamo i rischi connessi ai nuovi dispositivi. Evidenziamo che il coinvolgimento, il feedback sul nostro operato rendono piacevole il videogioco: dopo un paio di partite ad Assassin Creed la conoscenza della storia di Sparta e della battaglia delle Termopili è fissa nella mente dei nostri giovani in maniera più vivida di qualunque studio tradizionale (che pur ha altre prerogative didattiche).

Le difficoltà d’impiego in azienda nascono, a mio parere, dalla diffidenza e non conoscenza dello strumento, ma soprattutto – discorso questo che può essere esteso alla formazione in generale – alla reale visione che l’organizzazione ha dei propri collaboratori: le nuove generazioni che oggi vivono la distanza abissale frustrante tra metodologie di apprendimento coinvolgenti – multisensoriali grazie al web, saranno quelle che non accetteranno un lavoro come ancora oggi è concepito, ovvero una prestazione in cui il coinvolgimento è richiesto ma non è la cifra distintiva dello stare in azienda.

 

Quali strategie un’azienda oggi può adottare per il Well-Being della persona?

Parlare di well being significa porre l’accento sulle persone, significa prima di tutto per ogni Amministratore Delegato, Titolare d’impresa, Imprenditore, Capo, chiedersi che idea abbia della persona e del prossimo. Rispondendo a questa domanda ne consegue il grado di fiducia e di strumenti messi a disposizione di chi lavora con e per noi.

E’ chiaro a tutti che l’evoluzione della tecnica così come la tipologia di servizi e prodotti dal manifatturiero e dai distretti di eccellenza in Italia non richiedono una presenza di 8-10 ore in ufficio.

E’ chiaro anche che un progetto di smart working non può essere l’idea di un illuminato Direttore del Personale o un’iniziativa colta per seguire una moda ma deve essere la visione di una Direzione aziendale nuova.
Quello che comunemente intendiamo con change management, a mio avviso, si realizzerà non tanto grazie ad un corso o alla volontà di qualcuno, ma perché il vento di nuovi approcci culturali e di una nuova visione del mondo e del rapporto con la collettività si sta facendo strada. E sono soprattutto i giovani a richiedere con forza e a pretendere fin dal colloquio di assunzione un’organizzazione del lavoro al passo con la contemporaneità.

 

Quali competenze saranno richieste dalle aziende nel futuro mercato del lavoro?

Premesso che il cambiamento non si può imporre, di certo vedo nell’age management uno degli strumenti principali in grado di abbracciare temi come i valori, la comunicazione, le esigenze e la loro composizione all’interno di organizzazioni in cui convivono neodiplomati, persone con una certa anzianità aziendale e persone che hanno una lunga esperienza maturata nel corso della loro carriera. Se non vogliamo che vi siano incomprensioni, diffidenze, scollamenti tra dipartimenti e reparti ma trarre il meglio da ogni fase della vita dell’adulto, dal giovane al meno giovane, è necessario governare fortemente questi aspetti. Sicuramente conoscere le diversità e le potenzialità di tutti è il primo passo per comunicare e collaborare efficacemente. Ascolto, rispetto, sicurezza del posto del lavoro, possibilità di esprimersi non sono buone intenzioni. Sono la ricetta per l’eccellenza, la garanzia di sopravvivenza in un contesto fortemente mutevole dove adattamento e capacità di reattività si misurano ogni giorno sui mercati mondali.


 

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