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Quest’anno la riflessione che vorremmo proporre riguarda il nostro lavoro quotidiano e più nello specifico tre parole:
La prima parola è sentiero, inteso come percorso quotidiano di sviluppo e conoscenza.
L’escursionismo, detto comunemente trekking, è uno sport che consiste nel percorrere a piedi un sentiero di montagna lungo il quale si possono incontrare delle criticità. Alla base di questo sport vi è l’idea che il contatto con la natura aiuti l’organismo a ritrovare il suo equilibrio psicofisico e che mettere alla prova la propria resistenza e la propria capacità di adattamento comporti un aumento dell’autostima. Questa attività sportiva è una buona metafora del mondo del lavoro: un sentiero costellato di opportunità che ci rendono sempre più competenti nel nostro settore di riferimento e allo stesso tempo un’avventurosa sfida che ci permette di esprimere con soddisfazione il nostro potenziale e capire cosa sappiamo fare davvero, il nostro talento.
Nel mio lavoro di formatrice professionista ed HR ho conosciuto moltissime persone con forti difficoltà nello scegliere un percorso lavorativo soddisfacente. Sono tanti, infatti, i giovani indecisi e demotivati su quale lavoro intraprendere al termine degli studi e altrettanto numerosi sono gli adulti che, pur avendo già un lavoro, si sentono profondamente insoddisfatti e si pongono continuamente domande su quale potrebbe essere l’attività alternativa più adatta a loro. Ritengo che, il più delle volte, questo senso di frustrazione sia causato dal fatto che proiettiamo sul mondo del lavoro delle aspettative che non sempre coincidono con le nostre esigenze più profonde e le nostre effettive capacità. Credo che il nostro compito di formatori, nelle aziende come nel privato, sia quello di riconoscere il valore della persona che abbiamo davanti e indirizzarla verso una consapevole scoperta dei suoi talenti e dei suoi limiti. Inoltre, è necessario fornirle gli strumenti per comprendere la sua realtà quotidiana così che riesca a porsi finalmente degli obiettivi in linea con il suo essere che ripaghino il suo impegno con un ritrovato senso di appagamento.
La seconda chiave è il qui ed ora, la consapevolezza, intesa come conoscenza delle proprie competenze.
Quando si parla di consapevolezza si possono elencare diverse definizioni per spiegare cosa sia e molte tecniche per spiegare come raggiungerla, ma ciò che per me è più straordinario e mi ha portato a fare di essa il senso del mio lavoro è quella speciale sensazione che provo nell’attimo in cui percepisco che il mio sguardo sulle cose cambia. Consapevolezza, infatti, è aprire gli occhi su ciò che abbiamo sempre avuto davanti e scoprire che tutto è nuovo. Ciò non accade perché le persone e le circostanze che ci sono familiari cambiano per magia ma perché, in seguito a degli stimoli profondi ed efficaci, la nostra capacità valutativa si modifica.
Diventare consapevoli di ciò che si è, del proprio valore e dei propri limiti, fa sì che iniziamo a comportarci in modo più autentico e cooperativo quando siamo con gli altri. Le persone consapevoli sono una risorsa preziosa nel mondo del lavoro. Infatti, chi crede nelle proprie capacità non sente il bisogno di entrare in competizione con i colleghi creando delle fratture insanabili all’interno del contesto lavorativo, al contrario mette a disposizione del bene comune ciò che sa fare e si affida con fiducia ad essi per farsi supportare in quelle competenze che non ha ancora acquisito. Una persona consapevole comprende con serenità che nonostante sia molto brava nelle sue mansioni ha sempre qualcosa di nuovo da imparare dal confronto con gli altri e che cooperare con loro non sminuisce la sua professionalità, ma è uno strumento prezioso per raggiungere gli obiettivi stabiliti dall’azienda con il conseguente beneficio di tutti.
Infine il cardine su cui si svolge la nostra vita, anche professionale, l’alleanza.
La parola alleanza indica un rapporto di collaborazione istituito tra persone che decidono di collaborare per un obiettivo comune. Trovo che sia un bel concetto, in quanto evoca l’idea che le persone unite dallo stesso scopo faranno certamente del loro meglio per raggiungerlo, abdicando al proprio individualismo e accordando le proprie azioni con quelle degli altri. Nella realtà dei fatti, però, sappiamo che quando degli individui uniscono le loro forze per un progetto, molto spesso, in ciascuno si sviluppa una resistenza ad affidarsi agli altri membri del team e ciò impedisce di dedicarsi all’obiettivo prefissato con serenità.
Questa situazione si verifica anche nel mondo lavoro e ciò rischia di mandare in confusione soprattutto le nuove generazioni che, a causa della loro legittima inesperienza in certi contesti, hanno difficoltà nell’entrare in relazione con i propri collaboratori e a gestire il carico di pressione che sentono nei riguardi delle proprie azioni e del proprio operato. Ritengo che Il modo in cui noi formatori professionisti ed HR possiamo supportare i giovani sia quello di fargli comprendere la complessità delle dinamiche relazionali e l’importanza di mantenere un atteggiamento aperto e disponibile nel rapportarsi agli altri, insegnare loro ad esprimersi in modo assertivo per far capire il proprio punto di vista e fornirgli strumenti per imparare a gestire le personali risposte emotive al momento del confronto con colleghi e superiori. Tutto questo richiede da parte nostra ascolto attivo ed empatia poiché, dietro ad ogni dinamica disfunzionale che inquina il clima di alleanza, ci sono spesso tensioni emotive e fraintendimenti che per sciogliersi hanno bisogno di essere elaborati e risolti con comprensione ed efficacia.
La seconda chiave è il qui ed ora, la consapevolezza, intesa come conoscenza delle proprie competenze.
Infine il cardine su cui si svolge la nostra vita, anche professionale, l’alleanza.