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Quest’anno la riflessione che vorremmo proporre riguarda il nostro lavoro quotidiano e più nello specifico tre parole:
La prima parola è sentiero, inteso come percorso quotidiano di sviluppo e conoscenza.
Nella premessa che la mia attività non sia focalizzata nella formazione professionale – ma che le quotidiane relazioni progettuali siano contaminate di esperienze ed aspetti connessi – offro le mie riflessioni forse non specifiche ma con un respiro più ampio. Nelle imprese strutturate medio-grandi, esiste un maggiore confronto pianificato col lavoratore – sempre inquadrato nei risultati specifici dell’ organizzazione – del percorso orientativo e nella scelta dei professionisti più adatti a far maturare competenze ed attitudini. Nella piccola impresa il ruolo di ”incubator” delle HR è spesso ricoperto dai titolari, quindi a volte antagonista alle necessità lavorative contingenti.
Al loro interno il sentiero formativo segue la pressante capacità tecnica di “trincea”, di ottenere performance oggi, senza mettere bene a fuoco orizzonti e risorse economiche utili a far germogliare, fiorire, competenze tecniche di giovani e meno giovani nel domani dell’azienda; se c’è Humus intraprendente da entrambe le parti non è uno svantaggio ma l’opportunità: lo “spazio di manovra” per accelerare un percorso formativo più allargato o aderente alle aspirazioni di ciascuno. Lo strumento – di tecnica umanista più che di mera tecnica specifica – per orientarsi, orientare, preparare un percorso, è in un po’ di visione lungimirante per osservare l’esterno – e vedersi dall’esterno pensando oggi al domani: per creare, crearsi la “canna da pesca” anziché accontentarsi del pesce nello stagno. Il problema per l’impresa (riflesso nella forza lavoro di ogni età) – nel breve termine di un trend che rincorre performance ad ogni costo – è che … costa meno tempo e budget affidarsi al sempre più variopinto mercato “tecnico-pratico” dei servizi di recruiting multi garanti di specialità & insegne commerciali per inserire una figura, un profilo di qualsiasi livello, che sopperisca fast all’incombenza dell’oggi “usa, e getta fra 6 mesi” anziché preparare, sviluppare le risorse interne affidandosi ad un team di formatori consulenti che abbia cognizioni tecnico-didattiche, di audit, marketing, capaci di proporre, creare, programmi ad hoc nell’alveo di un’ organizzazione.
Sta anche a chi governa la struttura vedere più avanti di una scorciatoia temporanea … e che il grande fatturato/nome/web share di un consulente esterno non è sempre indicatore di professionalità. In una situazione di intermittenza occupazionale governata da pianificazioni un po’ cieche, è quindi complesso crearsi un percorso formativo, anche di e-learning, autonomo che intercetti le necessità del mercato che verrà: non di rado – è più facile, comodo, trovare chi ti vende la soluzione di una formula precotta ( a – 40%, sul web!) di chi ti insegna il metodo a pensarne, scriverne una nuova. Credo che la buona formazione professionale , o autoformazione, sia una missione didattica complessa, interdisciplinare, di ricerca, delicata un po’ come quella di un insegnante verso gli studenti; si può imparare tutto sugli analytics di “Google” con un corso certificato e incrementare le vendite e-commerce del 50% vendendo il prodotto con lo sconto del 20% senza aver capito il motivo per cui i punti vendita sono deserti e… dopo 6 mesi rischia il posto anche chi non lavora negli stores monobrand dell’azienda. Serve coraggio e un po’ di consapevolezza che specializzarsi solo in determinate “cassette degli attrezzi”, competenze, settori, porta solo più velocemente a replicare, se non a invecchiare, cannibalizzare gli stessi risultati: mentre il mondo, il mercato , il PIL – di convenienze, tecnologia, “Intelligenze Artificiali”, di prodotti simili, invenduti e svenduti – è già abbondantemente … consumato; ha bisogno di nuove strade.
La seconda chiave è il qui ed ora, la consapevolezza, intesa come conoscenza delle proprie competenze.
Le pratiche Mindfullness, come le tecniche orientali di concentrazione ( e non solo relative alla professione) rappresentano un valido supporto per connettere – non solo digitalmente – attività all’ interno e verso l’esterno dell’impresa; la cultura organizzativa aziendale nel perseguimento della cosiddetta Qualità Totale ha però forse più bisogno di Cultura – e di formazione da chi guarda dall’esterno l’azienda a 360° – che di curare solo il processo legato a raggiungere, ottimizzare un obiettivo contingente, una particolare profittabilità interna coniugata al benessere del personale.
Ecco un piccolo grande esempio tutt’altro che raro, concreto, di quanto il “target” esterno, “l’altro” – e il “customer journey” – sia mal considerato è nell’utilizzo di web marketing, di tecnologia, nelle relazioni col pubblico, con la clientela. Inviare una comunicazione, una richiesta ad un azienda è ormai semplice per i nativi digitali … ma non sempre : e per chi ha più di 70 anni, o è pensionato? Per una grande azienda commodity … solo se sei cliente intestatario di un contratto puoi accedere all’ account sul web legato al contatto, per modificare, richiedere; se hai una linea telefonica fissa puoi chiamare gratis (snocciolando prima dati … codici etc … prima di venire al sodo); se hai solo, o usi, un cellulare – e non è raro – magari con ricarica la chiamata è a pagamento … e rischia di finisce ancor prima di aver parlato con una risorsa, umana. Se sei parente di un cliente che magari non può muoversi, delega, ma non hai un contratto … puoi aprire un altro account con tutti i dati … ma non puoi entrare nell’area cliente del contratto per modificarlo con tutti i dati dell’intestatario! Il problema … non è la conoscenza digitale di un cliente : è la conoscenza solo tecnico-informatica … di chi ha pensato una piattaforma (forse ha una laurea in ingegneria ICT … ma ha solo “30 anni” e non comunica, digita!) , un meccanismo simile, per relazionare l’azienda col pubblico senza pensare al pubblico … variegato , pensionato, che non dispone di una linea fissa; pensando cioè ad ottimizzare solo il processo, il “benessere” informativo dei dati interni ma non i processi di comunicazione (la Comunicazione, è un processo: coinvolge emittente e ricevente).
Ha poco senso formare … il Customer care sulla casistica per risolvere puntualmente …se non tutti riescono a parlarci; o lanciare una campagna marketing di sconto dedicata “ ai pensionati” ; o inviare sms di Customer Satisfaction del tipo “… consiglierebbe la nostra compagnia …” se opponi queste tecnologico-bizantine barriere … ottuse. Il deficit di attenzione per le persone “antichissime” , i consumatori pensionati , (o pensiamo ai disabili) – in molti settori che … “non ne vedono il business, l’utilità”… e poi calano smart gli utili , dice quanto la “Qualità Totale” sia solo molto relativa: parziale. Se l’Italia “ è un paese per vecchi e manca di consumi interni” cerchiamo di comprendere le loro possibili esigenze, anziché fare sciocchezze con l’Intelligenza … Artificiale : altrimenti i giovani vedranno solo la pensione … virtuale. La Qualità Totale passa sempre di più dalla consapevolezza collettiva che l’interno di una struttura aziendale, fatta dal microcosmo di ogni persona, di tecnologia, scelte, decisioni, deve relazionarsi con il microcosmo altrui e con il macrocosmo esterno : in questo caso … fondamentale per il fatturato di un azienda e la reputazione del suo prodotto-servizio; meditate gente, meditate … meditamo profondamente.
Infine il cardine su cui si svolge la nostra vita, anche professionale, l’alleanza.
Il grande cambiamento da affrontare è la visione di un sistema produttivo che ha messo al centro la capacita della persona come strumento per creare un vantaggio economico curandosi un po’ meno di considerarla fuori dall’azienda, dal lavoro: è la stessa che oltre ad aver prodotto per XY, vive di relazioni sociali, nell’ambiente, alimentando la Civiltà; non è solo un’ ottimo investimento, un master di competenze da sviluppare affinché “possa acquistare di più” per rinnovare il ciclo di profitto. Nel contesto di un’organizzazione aziendale, locale o globale, va ripensato l’asse che regge il sistema di competizione economica: per produrre, trasformare, o formare dove e quando costa sempre meno; innovare ogni competenza funzionale solo a certi parametri , certi utili d’impresa ; migliorare gli skills personali rispetto agli altri per poter raggiungere una maggiore quota di spesa … cibo, tecnologia, comodità … Senza un’inversione di tendenza – una rapida presa di coscienza da chi governa istituzioni, orienta investimenti – si rischia (se non lo è già) di creare un’innovazione solo ” più esclusiva” – cioè di escludere – tanti, generazioni, e tutto ciò che non rientra, non produce, non è misurabile da “ KPI” economici.
L’ambiente è solo un esempio incalzante molto strettamente collegato alla salute che sta offrendo drammaticamente la cifra … di come l’attuale modus operandi non sia più un utile per sostenere un benessere ” nell’orticello di casa” ormai legato a quello globale: di come la circolazione dei capitali non sia valore indipendente, slegato all’ambiente o alla Società di relazioni , azioni, alla civiltà tra le persone e ciò che le circonda. La formazione è motivazione, coinvolgimento, educazione: se il motivo che spinge ad innovare le competenze personali in un’ azienda è solo legato al “ fare più di altri” per ottenere “più remunerazione”, qualunque percorso formativo che si reggesse su tale asse non potrà che trasmettere e rinnovare la competizione di tecniche individualistiche, o tra un gruppo e l’altro. Se fosse riequilibrato sull’imparare dagli altri, insegnare agli altri, valutare punti di vista alternativi, mettersi nei panni altrui – del cliente, del fornitore, della filiera – probabilmente la consapevolezza di essere alleati e partecipi di un un’obiettivo – non solo economico – comune, assumerebbe una dimensione del benessere più … umana e globale: nella rete del territorio, nell’ ambiente, nel tessuto socio-familiare connesso; più concreta, armonica, nelle relazioni di un organizzazione, nella vita quotidiana, verso l’esterno.
Per rialzarle lo sguardo ed innescare il cambiamento ( per spegnere l’incendio) occorre che il vecchio sistema finanziario di parametri tecnici che regolano l’economia, globale – il valore monetario di un’impresa, gli asset, le azioni, l’accesso al credito, etc. – converta gli indicatori, i benchmark, in favore di una sostenibilità civica etico-ambientale premiandone lo sviluppo nella catena di alleanze formative tra scuola/ università, mondo del lavoro e mondo professionale, per altro già in atto (a macchia di leopardo) in alcune filiere produttive di tessuto socio-economico territoriale dell’ Italia – come il Mobile in Brianza, l’aerospaziale a Varese, turismo e cultura nel Sud – ma spesso ancora legata ai parametri che aiutano chi garantisce il maggior risultato economico nel più breve tempo possibile. Si tratta di allargare gli orizzonti: finanziare investimenti, imprese, ricerca, borse di studio, percorsi didattico formativi che formazione che educhino ad imparare con una diversa “cassetta degli attrezzi” nell’ottica di forgiare un nuovo standard di welfare per il corso della vita, sul pianeta. Per fare un piccolo esempio: è anche una forma di responsabilità – politica ed etica – capire che 50 paia di scarpe consegnate ad uno store hanno una Carbon Footprint di trasporto più verde, meno inquinante, di 50 acquisti sul web consegnati al domicilio di ogni consumatore in un’area soffocata dal traffico … dove godersi una passeggiatina all’aperto sta diventando … rischioso e dove non resteranno ancora molti negozi da vedere …
La seconda chiave è il qui ed ora, la consapevolezza, intesa come conoscenza delle proprie competenze.
Infine il cardine su cui si svolge la nostra vita, anche professionale, l’alleanza.