MARIO ALEJANDRO ROSATO
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I giovani si trovano di fronte a nuove e importanti sfide che prospettano rischi e opportunità. La trasformazione digitale ha portato un cambiamento della natura stessa del lavoro che causerà un inevitabile riassestamento della società. In settori storici stanno scomparendo numerosi posti di lavoro mentre altri segmenti di mercato vivono un momento fiorente sollecitando la continua ricerca di nuove figure professionali. Cambiano di conseguenza le competenze e le abilità ricercate: nel 2020 il problem solving rimarrà la soft skill più ricercata, ma rivestiranno altrettanta importanza il pensiero critico e la creatività da impiegare per attività di co-progettazione e co-sperimentazione di prodotti o servizi innovativi.
Quale formazione ritiene utile per supportare l’evoluzione delle organizzazioni e lo sviluppo di nuova occupazione?
La formazione su misura per le aziende, in funzione delle reali necessità. I giovani hanno una flessibilità mentale maggiore, fatto che li rende particolarmente adatti ad assumere nuove sfide e maggiori responsabilità nelle loro mansioni. Cito sempre il caso della gestione degli impianti di biogas come esempio. Negli ultimi 5 anni sono stati installati circa 1400 impianti di questo tipo in allevamenti e aziende agricole. Non esiste però una figura professionale di “conduttore di impianti di biogas”. La maggioranza dei proprietari degli impianti crede che il processo di digestione anaerobica sia qualcosa di così complesso e misterioso che richieda affidarsi a “biologi” esterni, rilegando il proprio personale a mero esecutore di ordini, molte volte contraddittorie. Ho avuto modo di collaborare con diverse aziende agricole, che, contrariamente alla tendenza generale, credevano nelle capacità del proprio personale. Il mio metodo di gestione degli impianti di biogas, frutto di 10 anni di ricerche e pratiche sul campo, si basa sul presupposto che chiunque è in grado di gestire un impianto di biogas a condizione che sappia cosa misurare e abbia gli strumenti per farlo. E’ bastato con un corso professionale ad hoc, l’installazione di un piccolo laboratorio, seguito di un periodo di affiancamento dei corsisti, per ottenere risultati quasi miracolosi in termini di aumento di efficienza dell’impianto. Il motivo è semplice: ora il collaboratore non è più “un operaio” che esegue ordini dal “biologo” che viene in impianto mezz’ora al mese. Dopo il corso l’operaio è diventato “un laboratorista” , che analizza caso per caso e prende decisioni, è motivato e sa perché deve svolgere ogni compito, come deve fare, quali errori deve evitare. Persone istruite diventano più critiche e zelanti, si pongono domande, vanno in cerca di risposte, quindi ricercano sugli aspetti pratici relativi alle proprie mansioni aziendali, trovano nuove risposte e talvolta “inventano” piccole soluzioni o stratagemmi che consentono di svolgere meglio il proprio lavoro o quello dei colleghi. Non può esistere problem-solving né pensiero critico se non c’è a monte una formazione specifica, non necessariamente di livello universitario, che consenta all’individuo di filtrare i dati utili per la propria professione dalla marea di informazione con cui internet ci sommerge ogni giorno. La scuola non può ovviamente fornire la formazione specifica per ogni nuova professione che nasce dallo sviluppo tecnologico, di conseguenza è il nostro compito come formatori analizzare che competenze specifiche richiedono le aziende, imparare prima noi se necessario, in modo da trasmettere ai giovani lavoratori quel senso critico capace di sopperire alla mancanza di esperienza quando ci si trova davanti a nuovi problemi.