NAJDAT AL NAJJARI
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Lo scenario economico e sociale è in continua e rapida evoluzione: la trasformazione digitale ha abbracciato quasi tutti i settori ed è protagonista nei principali mercati. Oggi tuttavia la crescita delle complessità e il timore nei confronti della tecnologia, sempre più pervasiva, sembrano ostacolare il percorso che porta al sviluppo della persona, in un contesto di interazione con le organizzazioni. Il fattore umano è riconosciuto come la soft-skill principale per il moto dell’evoluzione della nostra specie, ma ci sono ancora perplessità sulla direzione che deve prendere per portare a una nuova, vera innovazione. Come può la formazione incrementare l’impatto del fattore umano per infondere alle persone e alle organizzazioni il coraggio di affrontare nuove sfide in un contesto così dinamico?
Lo sviluppo della tecnologia della comunicazione e dell’informazione costituisce una crescente barriera nelle relazioni one to one.
La tecnologizzazione ha comportato anche una modificazione del linguaggio e, come è stato dimostrato, il linguaggio che viene utilizzato influenza il modo di funzionare del cervello.
La digitalizzazione ha comportato inoltre la disponibilità immediata di una quantità di informazioni prima inconcepibile: il che costituisce una concreta possibilità di arricchimento per il singolo ma può, d’altra parte, condurre ad una dispersione delle opportunità informative e ad un decadimento della qualità dell’informazione (perché vecchia, approssimativa, errata…). Per poter fruire in modo adeguato dell’opportunità offerta dall’informazione digitale estesa è necessario possedere le conoscenze necessarie per stimare la qualità delle informazioni reperite ed avere un atteggiamento attivo nei confronti delle informazioni reperite, valutandole prima di assumerle a fondamento delle proprie scelte o comportamenti.
Nonostante la rivoluzione determinata dalla digitalizzazione rimane è il “fattore umano” a costituire il determinante per la direzione dell’evoluzione: è quindi necessario agire sulle competenze personali degli individui al fine di valorizzare l’unicità della singola esperienza integrandola con l’ambiente di cui l’aspetto tecnologico fa parte.
La formazione dovrebbe avere un ruolo cruciale nel far recuperare al singolo individuo la capacità di imparare al di fuori di un contesto molto caratterizzato dalla “deriva cognitiva del sapere”, secondo la quale tramite la formazione si deve imparare “a fare qualcosa” di concreto che si riferisce, quasi invariabilmente, al contesto economico e lavorativo.
Questo modello è destinato a tramontare a favore di una visione più umanistica e centrata sul soggetto: la formazione deve condurre l’individuo a scoprire l’amore per il sapere così recuperando il messaggio del Simposio di Platone.
Una formazione “umana”, in grado di elicitare le forze profonde di ogni individuo, conduce la persona ad avvicinarsi al sapere in maniera costruttiva e dinamica.
La responsabilità della formazione e del formatore, quindi, è in primis quella di saper accendere la curiosità, la “spinta erotica” verso il sapere e di superare il concetto di formazione come momento di trasmissione di informazioni: le informazioni, ormai, sono reperibili in un click.
E’ proprio tramite l’attivazione di meccanismi dinamici, di consapevolezza di Sé, che la formazione può “infondere alle persone ed alle organizzazioni il coraggio di affrontare nuove sfide”: ogni sfida significa cambiamento e ogni cambiamento fa paura, genera ansia.
L’attivazione di tali meccanismi di consapevolezza deve avvenire nel momento formativo e all’interno del patto d’aula.
Ritengo che il formatore debba mettersi in gioco e porre sé stesso quale “specchio neutro” dove i discenti possano riconoscere parti di loro stessi, magari sino a quel momento più o meno volontariamente ignorate, al fine di trovare la “loro” via, il “loro” modo di affrontare il percorso, la “loro” attivazione.
Questo atteggiamento passa per una rivisitazione delle modalità didattiche, ancora oggi forse troppo spesso ancorate a schemi vecchi di tipo impositivo: si tratta di passare da una formazione in piena “deriva cognitiva” ad una formazione “cognitivamente umanistica”.
Platone affermava che imparare altro non è che la conseguenza dell’aver dimenticato: credo che la formazione debba avere questo, come principio guida.
Rendendo le persone consapevoli di ciò che sono e non sono, di ciò che amano e non amano davvero al di là dei propri pregiudizi di ruolo, la formazione ha il compito ed il dovere di creare persone libere di pensare: ed il coraggio di affrontare sfide nuove, anche in un ambiente tecnologizzato, non potrà mancare.
Certo, entrare in aula con questi presupposti implica da parte del formatore mettersi pesantemente in gioco ed implica di certo una maggiore fatica (si, anche fisica, a volte…): ma il risultato ripaga di tutti gli sforzi.
Nel contesto globale contemporaneo la diffusione di informazioni avviene a una velocità incalzante sospinta dalla digitalizzazione. Per questo motivo il formatore deve sperimentare sempre più approcci sistemici e strumenti innovativi, anche associando differenti discipline. La formazione è sempre il luogo ideale dove generare apprendimenti in grado di produrre cambiamenti personali e professionali coerenti con le dinamiche di sviluppo dello scenario socio-economico e le esigenze competitive delle organizzazioni. Il formatore oggi è la figura che può educare all’uso consapevole della tecnologia, finalizzata al corretto sviluppo della persona. Quali sono i metodi e gli strumenti tecnologici a disposizione del formatore in grado di migliorare l’interazione tra scenario sociale e competitività economica? Quanto questi strumenti influenzano i processi di formazione?
Ho iniziato la mia attività di formatore oltre vent’anni addietro e, devo dire, i supporti alla lezione sono cambiati moltissimo.
Ricordo ancora quando, nel corso di alcune lezioni, utilizzavo la lavagna luminosa: al tempo era considerata uno strumento d’avanguardia. Rimpiango, oggi, di aver cestinato le slides che avevo creato (spesso anche “on the spot”!) sul supporto di carta-plastica trasparente… credo che oggi costituirebbero un valido esempio di archeologia didattica. Inoltre, a quel tempo, sono stato uno tra i primi a disporre di un videoproiettore personale: ovviamente lo utilizzavo quasi esclusivamente per la visualizzazione di slides in power point; e non posso dimenticare le critiche che ho dovuto affrontare per aver deciso di effettuare, al tempo, l’ingente spesa per l’acquisto dello strumento (che, ancora oggi, fa bella mostra di sé ed ottima figura in qualche corso di aggiornamento interno).
In questi anni i ritmi di sviluppo sono stati serrati e l’innovazione tecnologica – anche in ambito formativo – ha conosciuto importanti rivoluzioni.
Rimango stupito – ad esempio – dall’efficacia che possono avere i supporti video – soprattutto se utilizzati in combinazione con le piattaforme social – in materia di diffusione di “pillole di informazione”: tramite questo mezzo possono essere comunicate nozioni di base in maniera rapida, efficace ed estesa.
Ritengo, peraltro, che un utilizzo molto interessante del video possa essere effettuato se il formatore decide di utilizzare la modalità didattica della c.d. “lezione invertita”. Nella lezione invertita, infatti, viene proposta ai discenti la visione di un filmato che contiene gli aspetti nozionistici della materia trattata mentre la lezione “dal vivo” viene riservata per la discussione di casi ed esempi concreti relativi all’argomento.
Un ulteriore strumento che ho trovato molto utile sono le piattaforme di organizzazione delle classi “a distanza” e, in alcuni casi, lo strumento dell’e-learning il quale permette, a certe condizioni, di superare problematiche di frequenza, giornate ed orario.
Nelle materie caratterizzate da un approccio tipicamente comportamentale (mi viene in mente, ad esempio, la tematica della sicurezza, dei corsi antiincendio e simili) sono stati sviluppati dei programmi che permettono lo spegnimento di un incendio tramite simulazione visiva, senza ricorrere ad una fiamma vera, o algoritmi che permettono di ricreare la gestione di un gruppo di lavoro per risolvere situazioni problematiche ricorrenti.
Questi metodi e strumenti influenzano il processo di formazione in maniera decisiva, rendendolo più fluido e più efficiente.
Nelle materie non caratterizzate in maniera decisiva dall’aspetto comportamentale, i metodi e gli strumenti tecnologici a disposizione del formatore sono forse più limitati e riguardano, principalmente, la modalità di esposizione dei contenuti.
In questo senso, ad esempio, è utile la possibilità di proporre esercitazioni tramite app, lasciando al discente la possibilità di scegliere il “quando” e il “come” effettuare un ripasso delle materie proposte a tutto vantaggio del tempo d’aula che viene così “liberato” dall’onere delle verifiche.
Certo questo non può sostituire la riformulazione sintetica del docente all’inizio o alla fine di ogni evento formativo, ma sicuramente costituisce un valido supporto all’attività didattica influenzando positivamente l’output del processo (ad esempio, l’esercizio in app può essere ripetuto molte volte sino a quanto il discente non sente di aver compreso appieno la domanda o il meccanismo da applicare).
Gli strumenti tecnologici a disposizione, quindi, sono molti e diversificati anche in ragione delle diverse aree formative e dal fatto che le stesse siano più o meno caratterizzate da contenuti di tipo comportamentale.
In ogni caso, le soluzioni tecnologiche e comunicative influenzano il processo di formazione rendendolo più efficiente o perché consentono un approccio adatto a risolvere in maniera innovativa problemi ricorrenti e strettamente legati al comportamento o perché consentono di liberare ore d’aula grazie alla possibilità di affidare a soluzioni tecnologiche la gestione di attività routinarie come, ad esempio, il ripasso e l’effettuazione di semplici test di verifica.
La maggior parte delle scoperte, dalle grandi innovazioni scientifiche agli step esperienziali della crescita di ognuno di noi, avvengono attraverso il continuo imbattersi in errori e ostacoli. La possibilità di sbagliare, se circoscritta a un contesto adeguato, è il motore del miglioramento personale. Ad esempio Cristoforo Colombo, imbarcandosi con le 3 caravelle nel 1492, ha colto l’episodio di serendipità più influente nella storia moderna: mirando a raggiungere le Indie, scoprì l’America. Nella serendipità, ovvero la possibilità di imbattersi in felici scoperte per puro caso, è determinante l’influenza della specifica realtà in cui si opera. Il compito del formatore è operare attraverso la centralità della persona, legando tramite l’apprendimento il contesto dello scenario socio-economico allo sviluppo umano.Attraverso quali pratiche il formatore può trasmettere alla persona i mezzi necessari per la crescita dell’individuo nella realtà locale?
Ritengo che il formatore abbia come primo compito – prevalente anche sull’aspetto tecnico e disciplinare delle materie che è chiamato ad insegnare – quello di ascoltare le persone presenti nella propria aula, e di ascoltarle attivamente, senza (pre)giudizio, senza aspettative, in empatia: l’ascolto attivo costituisce una skill essenziale per il formatore efficace.
Il setting formativo dovrebbe essere percepito come un luogo sicuro, all’interno del quale le persone possono attivamente mettere in gioco la propria esperienza e sperimentare il desiderio di apprendere qualcosa di davvero nuovo.
Personalmente ho tratto grandissima utilità dalle modalità di gestione del gruppo suggerite dalla psicologia della Gestalt; sempre dalla Gestalt ho derivato una interpretazione del percorso formativo e della singola lezione che mi sono di grande aiuto nella mia pratica quotidiana.
In particolare, io intendo il “percorso formativo” (corso, seminario, workshop, open day…) come un ciclo gestaltico caratterizzato, quindi, da pre-contatto, contatto, contatto pieno e post-contatto.
Qualora il precorso formativo sia costituito da più eventi (ad esempio: un corso costituito da cinque distinte giornate) applico lo stesso modello al corso nel suo insieme ed a ciascuna delle giornate formative.
Ho trovato questa modalità di strutturazione dell’esperienza particolarmente utile in quanto mi consente di suddividere in maniera efficace il tempo a mia disposizione (sia all’interno dell’intero percorso sia all’interno di ogni singola lezione) con buoni risultati per quanto riguarda il fondamento dell’alleanza con il gruppo, la definizione degli obiettivi formativi e – nella fase di post-contatto – la verifica dei risultati raggiunti.
Ritengo anche corretto consapevolizzare i partecipanti dell’utilizzo di questo metodo che, in apertura, esplicito e condivido “in chiaro”.
Sempre dal “metodo Gestalt” traggo un approccio pratico ed esperienziale, cercando di calare – per quanto possibile – il contenuto della lezione all’interno dell’esperienza concreta di ciascuno valorizzandone l’esperienza.
Ricordo, in particolare, la discussione intercorsa con un partecipante ad un corso in merito all’avvenuta o non avvenuta conclusione di un contratto: il punto in discussione riguardava il fatto che rispondere con la locuzione “sounds reasonable” ad una email commerciale potesse essere interpretato come accettazione di una proposta.
Il corsista, in particolare, riteneva che la sua risposta non potesse essere intesa dal partner come un’accettazione in quanto generica, non circostanziata e resa in un contesto da lui ritenuto informale mentre la controparte riteneva che la risposta avesse valore di accettazione.
A prescindere dall’effettiva valenza legale della cosa – tutta da discutere – ho deciso di drammatizzare l’accaduto invitando il corsista ad impersonare la sua controparte mentre io interpretavo il “suo” ruolo: facendo vivere al soggetto l’esperienza a parti invertite, egli ha effettivamente confermato di aver percepito il “sounds reasonable” come accettazione della proposta.
L’utilizzo di queste modalità aiuta i partecipanti a rendersi consapevoli di sé e delle proprie azioni nella “realtà locale” intesa non soltanto come “realtà geograficamente contigua” ma come “insieme di elementi personali e spaziali che caratterizzano il campo di interazione dell’individuo”.
La tecnologizzazione ha comportato anche una modificazione del linguaggio e, come è stato dimostrato, il linguaggio che viene utilizzato influenza il modo di funzionare del cervello.
La digitalizzazione ha comportato inoltre la disponibilità immediata di una quantità di informazioni prima inconcepibile: il che costituisce una concreta possibilità di arricchimento per il singolo ma può, d’altra parte, condurre ad una dispersione delle opportunità informative e ad un decadimento della qualità dell’informazione (perché vecchia, approssimativa, errata…). Per poter fruire in modo adeguato dell’opportunità offerta dall’informazione digitale estesa è necessario possedere le conoscenze necessarie per stimare la qualità delle informazioni reperite ed avere un atteggiamento attivo nei confronti delle informazioni reperite, valutandole prima di assumerle a fondamento delle proprie scelte o comportamenti.
Nonostante la rivoluzione determinata dalla digitalizzazione rimane è il “fattore umano” a costituire il determinante per la direzione dell’evoluzione: è quindi necessario agire sulle competenze personali degli individui al fine di valorizzare l’unicità della singola esperienza integrandola con l’ambiente di cui l’aspetto tecnologico fa parte.
La formazione dovrebbe avere un ruolo cruciale nel far recuperare al singolo individuo la capacità di imparare al di fuori di un contesto molto caratterizzato dalla “deriva cognitiva del sapere”, secondo la quale tramite la formazione si deve imparare “a fare qualcosa” di concreto che si riferisce, quasi invariabilmente, al contesto economico e lavorativo.
Questo modello è destinato a tramontare a favore di una visione più umanistica e centrata sul soggetto: la formazione deve condurre l’individuo a scoprire l’amore per il sapere così recuperando il messaggio del Simposio di Platone.
Una formazione “umana”, in grado di elicitare le forze profonde di ogni individuo, conduce la persona ad avvicinarsi al sapere in maniera costruttiva e dinamica.
La responsabilità della formazione e del formatore, quindi, è in primis quella di saper accendere la curiosità, la “spinta erotica” verso il sapere e di superare il concetto di formazione come momento di trasmissione di informazioni: le informazioni, ormai, sono reperibili in un click.
E’ proprio tramite l’attivazione di meccanismi dinamici, di consapevolezza di Sé, che la formazione può “infondere alle persone ed alle organizzazioni il coraggio di affrontare nuove sfide”: ogni sfida significa cambiamento e ogni cambiamento fa paura, genera ansia.
L’attivazione di tali meccanismi di consapevolezza deve avvenire nel momento formativo e all’interno del patto d’aula.
Ritengo che il formatore debba mettersi in gioco e porre sé stesso quale “specchio neutro” dove i discenti possano riconoscere parti di loro stessi, magari sino a quel momento più o meno volontariamente ignorate, al fine di trovare la “loro” via, il “loro” modo di affrontare il percorso, la “loro” attivazione.
Questo atteggiamento passa per una rivisitazione delle modalità didattiche, ancora oggi forse troppo spesso ancorate a schemi vecchi di tipo impositivo: si tratta di passare da una formazione in piena “deriva cognitiva” ad una formazione “cognitivamente umanistica”.
Platone affermava che imparare altro non è che la conseguenza dell’aver dimenticato: credo che la formazione debba avere questo, come principio guida.
Rendendo le persone consapevoli di ciò che sono e non sono, di ciò che amano e non amano davvero al di là dei propri pregiudizi di ruolo, la formazione ha il compito ed il dovere di creare persone libere di pensare: ed il coraggio di affrontare sfide nuove, anche in un ambiente tecnologizzato, non potrà mancare.
Certo, entrare in aula con questi presupposti implica da parte del formatore mettersi pesantemente in gioco ed implica di certo una maggiore fatica (si, anche fisica, a volte…): ma il risultato ripaga di tutti gli sforzi.
Ricordo ancora quando, nel corso di alcune lezioni, utilizzavo la lavagna luminosa: al tempo era considerata uno strumento d’avanguardia. Rimpiango, oggi, di aver cestinato le slides che avevo creato (spesso anche “on the spot”!) sul supporto di carta-plastica trasparente… credo che oggi costituirebbero un valido esempio di archeologia didattica. Inoltre, a quel tempo, sono stato uno tra i primi a disporre di un videoproiettore personale: ovviamente lo utilizzavo quasi esclusivamente per la visualizzazione di slides in power point; e non posso dimenticare le critiche che ho dovuto affrontare per aver deciso di effettuare, al tempo, l’ingente spesa per l’acquisto dello strumento (che, ancora oggi, fa bella mostra di sé ed ottima figura in qualche corso di aggiornamento interno).
In questi anni i ritmi di sviluppo sono stati serrati e l’innovazione tecnologica – anche in ambito formativo – ha conosciuto importanti rivoluzioni.
Rimango stupito – ad esempio – dall’efficacia che possono avere i supporti video – soprattutto se utilizzati in combinazione con le piattaforme social – in materia di diffusione di “pillole di informazione”: tramite questo mezzo possono essere comunicate nozioni di base in maniera rapida, efficace ed estesa.
Ritengo, peraltro, che un utilizzo molto interessante del video possa essere effettuato se il formatore decide di utilizzare la modalità didattica della c.d. “lezione invertita”. Nella lezione invertita, infatti, viene proposta ai discenti la visione di un filmato che contiene gli aspetti nozionistici della materia trattata mentre la lezione “dal vivo” viene riservata per la discussione di casi ed esempi concreti relativi all’argomento.
Un ulteriore strumento che ho trovato molto utile sono le piattaforme di organizzazione delle classi “a distanza” e, in alcuni casi, lo strumento dell’e-learning il quale permette, a certe condizioni, di superare problematiche di frequenza, giornate ed orario.
Nelle materie caratterizzate da un approccio tipicamente comportamentale (mi viene in mente, ad esempio, la tematica della sicurezza, dei corsi antiincendio e simili) sono stati sviluppati dei programmi che permettono lo spegnimento di un incendio tramite simulazione visiva, senza ricorrere ad una fiamma vera, o algoritmi che permettono di ricreare la gestione di un gruppo di lavoro per risolvere situazioni problematiche ricorrenti.
Questi metodi e strumenti influenzano il processo di formazione in maniera decisiva, rendendolo più fluido e più efficiente.
Nelle materie non caratterizzate in maniera decisiva dall’aspetto comportamentale, i metodi e gli strumenti tecnologici a disposizione del formatore sono forse più limitati e riguardano, principalmente, la modalità di esposizione dei contenuti.
In questo senso, ad esempio, è utile la possibilità di proporre esercitazioni tramite app, lasciando al discente la possibilità di scegliere il “quando” e il “come” effettuare un ripasso delle materie proposte a tutto vantaggio del tempo d’aula che viene così “liberato” dall’onere delle verifiche.
Certo questo non può sostituire la riformulazione sintetica del docente all’inizio o alla fine di ogni evento formativo, ma sicuramente costituisce un valido supporto all’attività didattica influenzando positivamente l’output del processo (ad esempio, l’esercizio in app può essere ripetuto molte volte sino a quanto il discente non sente di aver compreso appieno la domanda o il meccanismo da applicare).
Gli strumenti tecnologici a disposizione, quindi, sono molti e diversificati anche in ragione delle diverse aree formative e dal fatto che le stesse siano più o meno caratterizzate da contenuti di tipo comportamentale.
In ogni caso, le soluzioni tecnologiche e comunicative influenzano il processo di formazione rendendolo più efficiente o perché consentono un approccio adatto a risolvere in maniera innovativa problemi ricorrenti e strettamente legati al comportamento o perché consentono di liberare ore d’aula grazie alla possibilità di affidare a soluzioni tecnologiche la gestione di attività routinarie come, ad esempio, il ripasso e l’effettuazione di semplici test di verifica.
Il setting formativo dovrebbe essere percepito come un luogo sicuro, all’interno del quale le persone possono attivamente mettere in gioco la propria esperienza e sperimentare il desiderio di apprendere qualcosa di davvero nuovo.
Personalmente ho tratto grandissima utilità dalle modalità di gestione del gruppo suggerite dalla psicologia della Gestalt; sempre dalla Gestalt ho derivato una interpretazione del percorso formativo e della singola lezione che mi sono di grande aiuto nella mia pratica quotidiana.
In particolare, io intendo il “percorso formativo” (corso, seminario, workshop, open day…) come un ciclo gestaltico caratterizzato, quindi, da pre-contatto, contatto, contatto pieno e post-contatto.
Qualora il precorso formativo sia costituito da più eventi (ad esempio: un corso costituito da cinque distinte giornate) applico lo stesso modello al corso nel suo insieme ed a ciascuna delle giornate formative.
Ho trovato questa modalità di strutturazione dell’esperienza particolarmente utile in quanto mi consente di suddividere in maniera efficace il tempo a mia disposizione (sia all’interno dell’intero percorso sia all’interno di ogni singola lezione) con buoni risultati per quanto riguarda il fondamento dell’alleanza con il gruppo, la definizione degli obiettivi formativi e – nella fase di post-contatto – la verifica dei risultati raggiunti.
Ritengo anche corretto consapevolizzare i partecipanti dell’utilizzo di questo metodo che, in apertura, esplicito e condivido “in chiaro”.
Sempre dal “metodo Gestalt” traggo un approccio pratico ed esperienziale, cercando di calare – per quanto possibile – il contenuto della lezione all’interno dell’esperienza concreta di ciascuno valorizzandone l’esperienza.
Ricordo, in particolare, la discussione intercorsa con un partecipante ad un corso in merito all’avvenuta o non avvenuta conclusione di un contratto: il punto in discussione riguardava il fatto che rispondere con la locuzione “sounds reasonable” ad una email commerciale potesse essere interpretato come accettazione di una proposta.
Il corsista, in particolare, riteneva che la sua risposta non potesse essere intesa dal partner come un’accettazione in quanto generica, non circostanziata e resa in un contesto da lui ritenuto informale mentre la controparte riteneva che la risposta avesse valore di accettazione.
A prescindere dall’effettiva valenza legale della cosa – tutta da discutere – ho deciso di drammatizzare l’accaduto invitando il corsista ad impersonare la sua controparte mentre io interpretavo il “suo” ruolo: facendo vivere al soggetto l’esperienza a parti invertite, egli ha effettivamente confermato di aver percepito il “sounds reasonable” come accettazione della proposta.
L’utilizzo di queste modalità aiuta i partecipanti a rendersi consapevoli di sé e delle proprie azioni nella “realtà locale” intesa non soltanto come “realtà geograficamente contigua” ma come “insieme di elementi personali e spaziali che caratterizzano il campo di interazione dell’individuo”.