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Nicola Rizzo

Categories: AIF,Interviste

NICOLA RIZZO

Rizzo Nicola aif
Audi Sales Training Manager Volkswagen Group Italia

L’innovazione tecnologica sta trasformando le relazioni umane, e il cambiamento è stato percepito anche all’interno delle organizzazioni e delle aziende con cui collaboriamo. La formazione deve innovare metodi, strumenti e spazi al fine di valorizzare la persona in un contesto sempre più digitalizzato. Quali sono i principali cambiamenti da realizzare? Il cambiamento porta con sé elementi positivi? e quali?
Grazie agli strumenti in nostro possesso e al continuo collegamento on line che essi ci permettono, credo che nessuno di noi senta più il bisogno di informazioni. In ogni istante, da ogni luogo, posso in pochi attimi reperire informazioni che fino a qualche anno fa richiedevano tempi lunghi e noiose consultazioni di banche dati, per poi ritrovarsi con dati incompleti o già vecchi.
Il tema, oggi, fondamentalmente, è quello di abbandonare l’assillo dell’informazione (che è stata ed è parte dell’attività formativa), perché essa è alla portata di tutti. Ciò che emerge come prepotente è, invece, una rinata esigenza di formazione che, paradossalmente, proprio l’innovazione tecnologica sta favorendo.
Partendo da questo presupposto, a mio avviso, sono tre i filoni sui quali si (ri)aprono spazi formativi:
1) saper accedere alle informazioni in modo strutturato: non ci serve più avere in testa tutte le informazioni, ma dobbiamo imparare a costruirci fonti complete, attendibili e innovative, alle quali accedere quando il dato (l’informazione) ci serve per studio, lavoro o piacere;
2) saper mettere insieme le informazioni per avere una visione sistemica che permetta scelte strategiche e prospettiche, basate sulle informazioni recuperate nel momento del bisogno;
3) saper condividere le informazioni raccolte per alimentare e rinnovare le conoscenze comuni, dando nuova vita a questo circolo virtuoso.
Ragazzi giovani, avvezzi ad usare le tecnologie, nativi digitali e sempre connessi, hanno molto da imparare su questi tre temi ed è su questo che la formazione deve sapersi rigenerare, sviluppando maggiormente gli approcci metodologici all’informazione affinchè il singolo sappia dare maggiore spazio alla propria creatività intellettuale, grazie a quanto ci è messo a disposizione dalla tecnologia, ma che solo la mente umana può rielaborare e fare propria, mettendola a sintesi e a fattore di comune sviluppo.
Una nota finale sui metodi da innovare per la formazione: non dimentichiamo che noi tutti guardiamo e riguardiamo foto perché ci ricordano persone o momenti di persone, in ogni caso bei ricordi. E la foto ci richiama alla mente proprio quei particolari, talvolta fin nei minimi dettagli, perché ciò che visualizziamo resta maggiormente impresso nella mente. In un’era di innovazione, almeno nei momenti d’aula, usiamo quanta più carta e visual possibile.

 

I sistemi di intelligenza artificiale sono in grado di imparare prospettando nuove forme di vita, cioè entità sensienti di cui non possiamo prevedere, né tanto meno guidare, lo sviluppo. Come questo processo di rapido sviluppo tecnologico, che riguarda la produzione dell’intelligenza collettiva si può legare a etica e valorizzazione della cultura nei processi organizzativi aziendali? In che modo la formazione può supportare la persona affinché possa contribuire all’innovazione senza subirla passivamente?
Robot, macchine, computer… cosa ancora in futuro?
Forse, o certamente, in molte attività il tempo lavoro dell’uomo potrà essere sostituito da macchine (io stesso ho a casa 2 folletti cibernetici: uno aspira e l’altro lava i pavimenti al posto mio), ma in cosa impiegherà l’uomo tutto il tempo così guadagnato?
Immagino due cose: miglioramento dei processi e relazione.
Le due cose sono legate a filo doppio perché solo contaminazioni relazionali possono rendere nuovi processi già buoni o eccellenti; solo la ricerca del non ancora visto può spingere l’uomo al confronto con l’altro, da cui trarre spunti o condividere idee visionarie.
Nei prossimi anni vedo la necessità di formatori e moduli formativi che aiutino la persona a migliorarsi nelle competenze che sottendono queste due esigenze, presupposti per massimizzare le virtù delle novità tecnologiche che vedremo, restando sempre, noi tutti, artefici del nostro singolare e comunitario sviluppo.
Anche qui mi permetto una chiosa finale: la formazione ci deve servire per garantirci la persistenza per il più lungo tempo possibile (almeno fino al prossimo training) di quanto appreso e ci deve instillare la pervicace volontà di mettere in pratica quanto imparato. Le nuove tecnologie ci possono e ci devono aiutare in questo per non disperdere gli sforzi formativi e di apprendimento, unica via per garantirci una continua evoluzione.

 

Ieri hai detto domani. Oggi i giovani sono il futuro della nostra società, la crisi e la scarsità di investimenti rischiano di contrapporre la dimensione personale della realizzazione del sé a quella della competitività delle imprese e dei territori. In che maniera la formazione potrà far conciliare questi due estremi enfatizzando i valori strategici dell’impresa con la valorizzazione della persona nella sua essenza? In che modo la formazione può costruire una situazione ideale in azienda generando entusiasmo e partecipazione?
In azienda entrano sempre più giovani talenti, portatori sani di nuove metodologie, visioni e approccio ai problemi.
Le aziende, attraverso la formazione, hanno il compito di canalizzare queste forze verso il bene comune dell’organizzazione. Come?
Con un cammino di sviluppo personalizzato, chiaro e condiviso con ciascun talento, volto a migliorare le singole competenze riconosciute strategiche dall’azienda, in relazione alla sua mission e ai suoi target.
In tale percorso, pianificato e gestito da abili formatori e coacher, i giovani talenti saranno spinti al miglioramento di sé, portando benefici all’azienda, ma il metodo di accompagnamento condiviso, ne sono certo, li stanerà dalla tentazione individualistica di successo personale, facendoli entrare in una dimensione di condivisione con altri talenti, che seguono un simile cammino personalizzato. A queste relazioni, ciascuno potrà attingere per ulteriori propri miglioramenti, in uno scambio reciproco e profittevole di crescita, che porterà ulteriore vantaggio all’azienda.
Dovremo avere formatori capaci di ascolto e di un pizzico di sana e vecchia maieutica, per tirare fuori “cose” che il singolo mostrerà ai colleghi diventandone esempio ed ispirazione, salvo poi attingere lui stesso al pozzo di altri.
Ho sentito parlare dai tempi dell’università della persona al centro delle organizzazioni, ma raramente ho visto applicato questo principio, che pure tutti professano.
Forse questa, senza presunzione, può essere una via possibile e i formatori dei prossimi tre-cinque anni hanno la responsabilità di non disperdere la forza che i nuovi talenti hanno in loro.


 

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