ROBERTA RUGGIERIAssistente sociale, counsellor, mediatrice familiare sistemico-globale, |
Lo scenario economico e sociale è in continua e rapida evoluzione: la trasformazione digitale ha abbracciato quasi tutti i settori ed è protagonista nei principali mercati. Oggi tuttavia la crescita delle complessità e il timore nei confronti della tecnologia, sempre più pervasiva, sembrano ostacolare il percorso che porta al sviluppo della persona, in un contesto di interazione con le organizzazioni. Il fattore umano è riconosciuto come la soft-skill principale per il moto dell’evoluzione della nostra specie, ma ci sono ancora perplessità sulla direzione che deve prendere per portare a una nuova, vera innovazione. Come può la formazione incrementare l’impatto del fattore umano per infondere alle persone e alle organizzazioni il coraggio di affrontare nuove sfide in un contesto così dinamico?
Il fattore umano rappresenta senza dubbio, ed ha sempre rappresentato, in tutti gli ambiti del vivere e del sapere umano, l’elemento discriminante, la “differenza che fa la differenza”, in grado di trainare verso nuovi orizzonti di sviluppo in mo-do creativo. Appare oggi crescente il rischio che, proprio questo elemento di soggettività, venga a perdersi in un contesto che tende sempre più ad omologare i bi-sogni e a standardizzare i processi e le soluzioni, appiattendo ciascuno all’unico ruolo di consumatore di beni e servizi (educativi, formativi, legati alla salute, al welfare, ecc.), in cui l’essere liberi si traduce essenzialmente e soltanto nella scelta tra opzioni preconfezionate. La formazione in tale contesto può, e deve, avere un ruolo di primo piano, quello cioè del recupero di questo fattore umano lasciato in ombra, riportando il focus sul soggetto in quanto persona con esigenze, aspirazioni e competenze specifiche, che necessariamente deve rivestire un ruolo attivo nella scelta dei percorsi che, a tutti i livelli, lo vedono coinvolto; lo stesso vale ovviamente quando si ha a che fare con le organizzazioni, dal momento che ogni sistema possiede delle specificità che lo rendono in qualche modo unico. Fare formazione significa allora superare la logica fornitore-consumatore operando in-vece – citando Ivan Illich – attraverso la scelta e la predisposizione delle circo-stanze che possono favorire l’apprendimento, processo che in nessun caso può es-sere predeterminato (proprio per quell’ineludibile e imprevedibile fattore umano) e all’interno del quale la persona deve necessariamente restare protagonista e responsabile. Il coraggio di affrontare le nuove e complesse sfide che ci vengono poste non può che nascere, infatti, da un’assunzione di responsabilità rispetto al proprio futuro, dal mettere in gioco se stessi per intero con la consapevolezza di avere uno spazio di espressione libero, pena la perdita di senso e di valore dell’agire.
Nel contesto globale contemporaneo la diffusione di informazioni avviene a una velocità incalzante sospinta dalla digitalizzazione. Per questo motivo il formatore deve sperimentare sempre più approcci sistemici e strumenti innovativi, anche associando differenti discipline. La formazione è sempre il luogo ideale dove generare apprendimenti in grado di produrre cambiamenti personali e professionali coerenti con le dinamiche di sviluppo dello scenario socio-economico e le esigenze competitive delle organizzazioni. Il formatore oggi è la figura che può educare all’uso consapevole della tecnologia, finalizzata al corretto sviluppo della persona. Quali sono i metodi e gli strumenti tecnologici a disposizione del formatore in grado di migliorare l’interazione tra scenario sociale e competitività economica? Quanto questi strumenti influenzano i processi di formazione?
Il costante sviluppo tecnologico offre l’opportunità di usufruire, anche in ambito formativo, di strumenti in grado di agevolare l’apprendimento, in particolare ove sorgano specifiche esigenze di tipo organizzativo, logistico o legate alle particolari caratteristiche dei soggetti per i quali la formazione è pensata. Prendendo spunto ad esempio dal tema della formazione a distanza, non va sottovalutato il fatto che, accanto all’opportunità di poter allargare l’offerta di formazione anche a coloro che altrimenti non potrebbero usufruirne, vi è sempre in agguato un rischio di “spersonalizzazione”del processo, che esso si riduca esclusivamente all’offerta e alla semplice “consumazione” di un pacchetto preconfezionato, asettico, da parte di un destinatario cui implicitamente si chiede di restare passivo. Credo che allora, pur riconoscendo i benefici e le opportunità date dall’utilizzo di sempre nuovi strumenti e tecnologie di cui certamente spesso non si può fare a meno e il cui uso dovrebbe sempre essere orientato alla consapevolezza, delle opportunità ma anche dei limiti, si dovrebbe sempre lavorare nella direzione della valorizzazione della relazione, tra formatore e soggetto in formazione, e della soggettività, del fattore umano nelle sue componenti di desiderio come aspirazione e curiosità come attitudine naturale alla scoperta dell’altro da sé.
La maggior parte delle scoperte, dalle grandi innovazioni scientifiche agli step esperienziali della crescita di ognuno di noi, avvengono attraverso il continuo imbattersi in errori e ostacoli. La possibilità di sbagliare, se circoscritta a un contesto adeguato, è il motore del miglioramento personale. Ad esempio Cristoforo Colombo, imbarcandosi con le 3 caravelle nel 1492, ha colto l’episodio di serendipità più influente nella storia moderna: mirando a raggiungere le Indie, scoprì l’America. Nella serendipità, ovvero la possibilità di imbattersi in felici scoperte per puro caso, è determinante l’influenza della specifica realtà in cui si opera. Il compito del formatore è operare attraverso la centralità della persona, legando tramite l’apprendimento il contesto dello scenario socio-economico allo sviluppo umano.Attraverso quali pratiche il formatore può trasmettere alla persona i mezzi necessari per la crescita dell’individuo nella realtà locale?
La serendipità è sempre influenzata dal contesto nel quale si opera che deve diventare, in tal senso, spazio generativo di idee e di condivisione di saperi e competenze. Lo sviluppo e l’acquisizione di competenze ed abilità in un’ottica di empowerment (con le sue ricadute sociali oltre che personali) è il fine principale che la formazione deve perseguire, e a tale scopo risultano a mio avviso molto utili le pratiche che prevedano un’elevata attivazione del soggetto. Pratiche partecipative – come il role-playing, le simulate e l’utilizzo del gioco nell’ambito del lavoro con i gruppi e una metodologia di intervento centrata sull’uso delle domande, sull’ascolto e l’attenzione ai feedback che emergono dalla relazione, nel lavoro con l’individuo, consentono di mettere “in gioco” se stessi e i propri “pregiudizi” – l’insieme cioè delle premesse con cui guardiamo alla realtà e le diamo senso, che tanta parte hanno nel costruire la nostra personale visione del mondo e, dunque, nel nostro modo di relazionarci ad esso. Solo ponendoci in una posizione di ascolto ricettivo, attento ai feedback provenienti dall’ambiente, e assumendo una posizione critica rispetto alle proprie certezze (degradandole almeno da verità permanenti a certezze “temporanee”), può essere possibile approdare a nuove visioni e a felici, ed inaspettate, scoperte.