VITTORIO CANAVESE
Formatore sulle competenze digitali per la Pubblica Amministrazione |
L’innovazione tecnologica sta trasformando le relazioni umane, e il cambiamento è stato percepito anche all’interno delle organizzazioni e delle aziende con cui collaboriamo. La formazione deve innovare metodi, strumenti e spazi al fine di valorizzare la persona in un contesto sempre più digitalizzato. Quali sono i principali cambiamenti da realizzare? Il cambiamento porta con sé elementi positivi? e quali?
L’innovazione tecnologica ci coinvolge tutti su due piani principali. In primo luogo l’accesso a servizi sempre più puntuali rispetto alle esigenze della vita quotidiana, possiamo sapere sempre meglio ciò di cui abbiamo bisogno in ogni momento ed in ogni luogo. Si pensi a come si rivoluziona, ad esempio, la mobilità urbana. Su questo si innestano risorse di comunicazione sempre più orientate alla condivisione, alle conversazioni e alla disintermediazione dei contenuti. La formazione deve tener conto di questi linguaggi, utilizzandoli in tutte le fasi del proprio processo: allora diventa realmente possibile parlare di progettazione didattica in termini di co-progettazione grazie alla possibilità di condividere materiali propri ed esterni e discuterne lasciando traccia. Quindi come elementi positivi dobbiamo considerare la possibilità di compattare la relazione tra committente, formando e formatore, per moltiplicare, approfondire e consolidare le occasioni di collaborazione utilizzando la rete come strumento. Strumento da usare consapevolmente (vedasi quanto relativo alle competenze digitali perfino nell’Agenda digitale).
I sistemi di intelligenza artificiale sono in grado di imparare prospettando nuove forme di vita, cioè entità sensienti di cui non possiamo prevedere, né tanto meno guidare, lo sviluppo. Come questo processo di rapido sviluppo tecnologico, che riguarda la produzione dell’intelligenza collettiva si può legare a etica e valorizzazione della cultura nei processi organizzativi aziendali? In che modo la formazione può supportare la persona affinché possa contribuire all’innovazione senza subirla passivamente?
I sistemi informatici in grado di apprendere sono comunque software programmato da uomini, in grado di prendere decisioni sulla base di calcoli statistici. Basandosi su algoritmi il loro sviluppo è tutt’altro che imprevedibile.
Altro discorso è quello relativo alla intelligenza collettiva come risultato della diffusione della tecnologia, basata essenzialmente sulla socialità dei dati. Proprio per questo tutti gli utenti sono in grado, con il loro contributo consapevole, di avere un ruolo nel sistema, solo apparentemente infinitesimale. Si pensi a quei social media che indirizzano la scelta del ristorante o dell’albergo: una recensione ben fatta, corretta e intellettualmente onesta è in grado di influire la scelta del singolo e il successo di una impresa, ma il sistema, basato sulla fiducia, ha bisogno che l’utente sia consapevole e capace di approfondire quel tanto che basta per smascherare chi non sta alle regole del gioco e inquina i dati.
Quindi è da promuovere un approccio continuamente multidisciplinare, il pensiero laterale e anticonformista basati sulla realtà interpretata su basi condivisibili e di tutto ciò non può non giovarsi l’organizzazione.
Ieri hai detto domani. Oggi i giovani sono il futuro della nostra società, la crisi e la scarsità di investimenti rischiano di contrapporre la dimensione personale della realizzazione del sé a quella della competitività delle imprese e dei territori. In che maniera la formazione potrà far conciliare questi due estremi enfatizzando i valori strategici dell’impresa con la valorizzazione della persona nella sua essenza? In che modo la formazione può costruire una situazione ideale in azienda generando entusiasmo e partecipazione?
Le imprese hanno bisogno di innovazione e questa è più facile per i giovani che non per chi, nelle aziende l’innovazione la ostacola o, quanto meno, la sottovaluta. Il formatore dovrebbe fare da mediatore, da portatore di una visione organizzativa che a chi esce dal sistema scolastico o universitario generalmente manca. Il terreno comune dovrebbe proprio essere quello della co-progettazione, della conversazione e condivisione come nuovi strumenti organizzativi. La partecipazione si genera solo tramite sé stessa, le nuove tecnologie partecipative non possono che essere sperimentate per essere comprese e applicate consapevolmente, e la formazione dovrebbe costituire il laboratorio di questa realtà in movimento troppo rapido per essere solo osservata dall’esterno e non con l’esperienza diretta, sia pur mediata. Certo la formazione deve anche ripensarsi per fornire ai giovani strumenti di autoformazione per tutto l’arco della vita e farne partecipi le organizzazioni.
I sistemi informatici in grado di apprendere sono comunque software programmato da uomini, in grado di prendere decisioni sulla base di calcoli statistici. Basandosi su algoritmi il loro sviluppo è tutt’altro che imprevedibile.
Altro discorso è quello relativo alla intelligenza collettiva come risultato della diffusione della tecnologia, basata essenzialmente sulla socialità dei dati. Proprio per questo tutti gli utenti sono in grado, con il loro contributo consapevole, di avere un ruolo nel sistema, solo apparentemente infinitesimale. Si pensi a quei social media che indirizzano la scelta del ristorante o dell’albergo: una recensione ben fatta, corretta e intellettualmente onesta è in grado di influire la scelta del singolo e il successo di una impresa, ma il sistema, basato sulla fiducia, ha bisogno che l’utente sia consapevole e capace di approfondire quel tanto che basta per smascherare chi non sta alle regole del gioco e inquina i dati.
Quindi è da promuovere un approccio continuamente multidisciplinare, il pensiero laterale e anticonformista basati sulla realtà interpretata su basi condivisibili e di tutto ciò non può non giovarsi l’organizzazione.
Le imprese hanno bisogno di innovazione e questa è più facile per i giovani che non per chi, nelle aziende l’innovazione la ostacola o, quanto meno, la sottovaluta. Il formatore dovrebbe fare da mediatore, da portatore di una visione organizzativa che a chi esce dal sistema scolastico o universitario generalmente manca. Il terreno comune dovrebbe proprio essere quello della co-progettazione, della conversazione e condivisione come nuovi strumenti organizzativi. La partecipazione si genera solo tramite sé stessa, le nuove tecnologie partecipative non possono che essere sperimentate per essere comprese e applicate consapevolmente, e la formazione dovrebbe costituire il laboratorio di questa realtà in movimento troppo rapido per essere solo osservata dall’esterno e non con l’esperienza diretta, sia pur mediata. Certo la formazione deve anche ripensarsi per fornire ai giovani strumenti di autoformazione per tutto l’arco della vita e farne partecipi le organizzazioni.