PREMESSA

Lungo la linea del tempo, gli ultimi secoli indicano una fortissima discontinuità in termini di popolazione, benessere, libertà. La rivoluzione scientifica, in combinazione con quella industriale, ha cambiato radicalmente la vita di milioni di persone.

Diventati abilissimi nella produzione, già nel secolo scorso, ci si è resi conto che occorreva imparare a consumare. Per questo la crescita economica della seconda metà del secolo si è strutturata attorno al circuito produzione-consumo che dagli anni ‘90 è stato sostenuto e accelerato dall’enorme sviluppo finanziario e dal conseguente indebitamento. La transizione avviata con la crisi del 2008, e che oggi si è accelerata con gli effetti della pandemia, ha a che fare esattamente con questo schema, ha bisogno di essere portata a maturazione.

In primo luogo, c’è il problema della sostenibilità.

Il modello di vita occidentale, divenuto riferimento mondiale, semplicemente non è sostenibile. Ciò apre questioni enormi, non solo perché gli squilibri ambientali, amplificati dalle tendenze demografiche, provocheranno aggiustamenti di portata biblica (si pensi alle migrazioni), ma anche perché la scarsità di risorse (materie prime, acqua, produzione agricola per effetto della desertificazione) rischia di aggravare i conflitti.

Secondariamente, le conseguenze dell’innovazione tecnologica. Se lasciata a se stessa, la digitalizzazione rischia di creare un neo-taylorismo societario, mentre la progressiva integrazione del corpo umano nelle logiche economiche espone al rischio di una “messa in produzione” della vita in quanto tale.

Infine, la distribuzione delle risorse, problema già grave è oggi divenuto drammatico. La disuguaglianza interna ai singoli paesi tocca livelli mai visti, ulteriormente aggravata dal blocco delle attività di questi mesi.

Da qui la ricerca di una prospettiva nuova: nel momento in cui si sta cercando di reagire allo shock del coronavirus, è urgente lavorare per accelerare la trasformazione che può partire solo da un cambiamento del mind set.

Per società mature, la chiave dello sviluppo – da intendersi come processo dinamico che tiene insieme crescita economica e avanzamento sociale – più che con la “produzione” ha a che fare con quella che è utile chiamare “generazione”.
Cioè, con la centralità strategica dell’investimento su persone, relazioni, comunità.

Nell’ipotesi che risieda lì il vero principio del nostro futuro.
Dal punto di vista dell’efficienza sistemica, il controllo centralizzato, reso possibile dalla digitalizzazione, offre vantaggi evidenti. Ritorna l’idea che “tutto funziona meglio” se diviene possibile un rigido controllo del singolo individuo, che arriva fino alla sua disabilitazione. Un sogno condiviso da tutti coloro che mettono l’organizzazione prima della persona. Così, nel secolo che viene ritornano vecchi dibattiti che sembravano archiviati: quello più micro tra la visione tayloristica e la teoria delle risorse umane; e quello più macro tra centralismo della sorveglianza e libertà imprenditoriale e democratica.

Il confronto con le altre culture – e specificatamente con la Cina – costituisce così un’occasione per l’Occidente – e l’Europa in particolare – per recuperare il senso profondo della propria matrice culturale. E della propria responsabilità storica. Nato e cresciuto sull’idea che la persona non è mai riducibile all’ordine sociale, l’Occidente esiste perché afferma che la creatività e la varietà associate alla libertà superano sempre i rischi di comportamenti negativi e disfunzionali. Un’idea che a livello istituzionale si traduce poi nella decisa opposizione contro ogni forma di monopolizzazione del potere: che sia politico, religioso o tecnocratico.

Di fronte alle conseguenze devastanti del coronavirus, è dunque necessario avviare processi trasformativi che, nel dare risposte concrete ai problemi che assillano la nostra vita sociale, siano in grado di disegnare una nuova cornice di riferimento comune.

Tre sono le “transizioni” prioritarie su cui ci si focalizzerà:

La TRANSIZIONE ECOLOGICA che non si risolve con un patentino di sostenibilità. Occorre ridefinire integralmente il nostro rapporto con l’ecosistema come produttori, consumatori, cittadini.

La TRANSIZIONE ORGANIZZATIVA: puntare sul contributo originale delle persone significa innovare i modi di lavorare, per valorizzare pienamente autonomia e responsabilità e controbilanciare le spinte verso l’irrigidimento dei processi.

La TRANSIZIONE FORMATIVA: abbiamo accumulato un grave ritardo nella formazione delle persone.
Quanto più i sistemi tecnici sono sofisticati, tanto più si deve investire sulle persone. Tenendo conto che formazione non è addestramento.

 
 

STRUTTURA CONVEGNO

Il convegno AIF 2020 si svolgerà in live streaming.

In ciascuno dei tre pomeriggi del 4,5,6 novembre saranno proposti tre contributi di studiosi ed esperti sui temi focali della giornata, prevedendo anche modalità di interazione e dialogo con i partecipanti.

Verranno costituiti dei gruppi di lavoro che, sulla base degli stimoli proposti nei primi tre giorni dei lavori, avranno l’obiettivo di elaborare prospettive evolutive e progettuali nell’area della formazione nelle organizzazioni.

La mattina di sabato 14 novembre è prevista una sessione in cui i gruppi presenteranno il lavoro svolto e dialogheranno con un panel di relatori che, al termine, proporrà le proprie riflessioni conclusive.

LE DOMANDE

– Cosa è la sostenibilità: rivoluzione storica, retorica, marketing, strategia, valore, possibilità, scommessa?

– Qual è lo stadio evolutivo del pensiero della sostenibilità sul piano della governance interna delle organizzazioni?

– A quali evoluzioni l’idea di sostenibilità chiama le pratiche di gestione delle persone nelle organizzazioni?

– Come sono organizzate e gestite le imprese sostenibili?

– Quali pratiche educative sono coerenti con l’idea di sostenibilità contributiva?

– Quale transizione verso la sostenibilità è richiesta alla formazione nelle organizzazioni?