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Antonio Facchiano

Categories: AIF,Interviste

  

ANTONIO FACCHIANO

Medico, oncologo molecolare

Che vantaggi può offrire la Gamification a livello esperienziale?

L’efficacia della gamification sfrutta il grado di appagamento di un desiderio. Per alcuni, la soddisfazione di ricevere un premio o un riconoscimento è il motore che anima la voglia di coinvolgersi in un processo aziendale o di marketing. In questo caso, il motore è l’incentivo della “remunerazione”, uno dei più potenti, presente nell’uomo adulto, nel bambino, negli animali. Per altri, la innata competitività o la voglia di misurarsi può rappresentare un valido motivo per lasciarsi coinvolgere. Sebbene questo possa essere un forte stimolo al coinvolgimento attivo in molti casi, la paura della competizione e del fallimento, al contrario, può essere un freno in altri casi. Perciò la gamification in un contesto aziendale può essere efficace se inserita comunque in una strategia che valorizzi il lavoro di team, anche quando questo dipenda strettamente dalla performance dei singoli partecipanti al team. Infatti l’eccellenza e il successo del team non può prescindere dall’eccellenza dei singoli, ma il team ha una maggiore capacità di adattamento alle mutazioni del sistema.

Questo approccio è particolarmente utile nell’ambito organizzativo aziendale, ma anche in campo educativo e nelle scuole, dove invece è ancora la performance del singolo, indipendente dalla performance del gruppo, ad essere più spesso valutata e valorizzata. La gamification in un ambito di “gioco di squadra” sembra avere maggiori potenzialità perché, oltre all’eventuale “premio”, il valore aggiunto è rappresentato dalla relazione umana che si instaura tra i membri del team. In questa ottica, più che la competizione verso gli altri, è la relazione umana con gli altri membri del team che può portare ad una maggiore responsabilizzazione del singolo verso il gruppo. Questo può essere utile per migliorare le performance in ambito aziendale, ma può rappresentare anche un forte incentivo nelle politiche di difesa dell’ambiente o della salute pubblica, obiettivi della comunità che dipendono moltissimo dal comportamento dei singoli.

 

Quali strategie un’azienda oggi può adottare per il Well-Being della persona?

Le strategie più efficaci per organizzare il Well Being in un’azienda sono quelle che rispondono alle strategie di prevenzione, in particolare “prevenzione primaria”, cioè le strategie che puntano alla eliminazione delle cause di possibile disagio o di possibile rischio. Lo smart working attraverso la informatizzazione, la flessibilità del lavoro e il lavoro a domicilio, in realtà eliminano o riducono situazioni di disagio, di fatica psicologica o fisica, di sovraffollamento, di stress da mobilità, etc., attuando in effetti le stesse strategie di prevenzione primaria che vengono applicate in altri ambiti, per esempio in ambito sanitario. Le strategie di smart working sono ormai applicate anche in ambito non-aziendale, per esempio nelle scuole, dove l’uso del registro elettronico e la informatizzazione stanno cambiando il modo con cui i professori interagiscono con gli studenti e il modo con cui gli stessi studenti interagiscono con lo studio.

La telemedicina, con la possibilità di seguire il paziente in remoto mediante l’applicazione di tecnologie informatiche e digitali, è una possibile declinazione sanitaria del Well Being, attraverso una organizzazione di smart working che globalizza (geograficamente e geo-politicamente) la gestione del paziente e della malattia e aumenta l’efficacia della prevenzione. La telemedicina segue a suo modo una logica di globalizzazione e delocalizzazione, simile alla globalizzazione dei mercati e delle aziende. Il fine che può guidare questo processo e garantirne l’efficacia è quello della effettiva riduzione dei costi di gestione associata all’effettivo innalzamento dei livelli qualitativi di produzione e di servizio. Senza il giusto bilanciamento tra riduzione di costi e innalzamento della qualità dei servizi, lo smart working e il Well Being rischiano di essere spot accattivanti, utilizzati solo a fini commerciali e politici. Per evitare questo rischio è necessario che il processo venga governato in maniera equilibrata, coinvolgendo tutte le professionalità necessarie.

 

Quali competenze saranno richieste dalle aziende nel futuro mercato del lavoro?

Contrariamente a quanto si pensa, le competenze necessarie nel futuro mercato del lavoro non saranno necessariamente solo competenze tecniche. L’intelligenza artificiale (IA) ne è un esempio lampante. L’uso dei robot nel vicino futuro non sarà limitato alle attività meccaniche e industriali, ma sempre di più i robot dotati di IA saranno utilizzati per l’interazione con l’uomo, per esempio con attività di care-giver negli ospedali o di aiuto agli anziani tra le mura domestiche, o anche di aiuto all’apprendimento, sostegno alla riabilitazione motoria, etc. Il piano di sviluppo di robot-badanti per anziani non-autosufficienti è già una realtà in Giappone e pone sfide intellettive (oltre che ingegneristiche) impensabili solo pochi anni fa.

Questo apre una finestra molto interessante sulle professionalità che saranno richieste per fornire o “insegnare” la sensibilità necessaria a questi robot, ben superiore alle specifiche abilità manuali e industriali per le quali i robot vengono usati al momento. E’ necessaria una grande presa di coscienza dei forti mutamenti in atto o imminenti, con programmi di informazione/educazione rivolti alle classi dirigenti, ai lavoratori, agli adulti e soprattutto ai ragazzi, poiché le nuove generazioni rischiano di arrivare non sufficientemente preparate ai mutamenti che dovranno governare, e rischiano di non sapere poi gestirne le enormi potenzialità e gli enormi rischi associati.


 

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