CLAUDIA MASSAConsigliera Nazionale AIF e Vice Presidente Delegazione Lazio |
LA VISIONE PRIMA DELLO STRUMENTO
Oggi si parla molto di realtà complessa, di era digitale e di cultura digitale come di realtà già in essere. Sappiamo che queste trasformazioni non stanno avvenendo in tutti i paesi con la stessa pervasività. Se prendiamo un paese come il nostro, infatti, sono evidenti le significative differenze tra Nord e Sud, e tra le città che hanno un impatto più significativo dal punto di vista economico ed il resto dei territorio. Inoltre le analisi sul tema ci riportano un quadro eterogeneo che va da coloro che della tecnologia colgono solo le potenzialità ai più cauti che vedono il pericolo di un dominio incontrollato della tecnologia sull’essere umano, con ricadute non sempre positive a livello economico, sociale e non da ultimo politico.
Senza entrare nell’agone, è evidente come l’accelerazione sempre più spinta ad innovare in tutti i campi stia portando alla rapida obsolescenza di conoscenze e di mestieri, con ricadute a livello economico e sull’organizzazione del lavoro, a livello sociale e non da ultimo sulle singole persone.
In questo scenario ritengo che il mondo della formazione e più in generale dell’apprendimento abbia molto da dire e soprattutto da fare, basti solo pensare all’ormai evidente correlazione che c’è tra investimenti in formazione e ricerca e sviluppo nei paesi economicamente più solidi (Rapporto ISTAT 2018).
C’è però un punto importante su cui mi voglio soffermare, ed è una questione di metodo. Il tema dell’innovazione ha da sempre riguardato anche noi formatori nell’attenzione continua a progettare nuove metodologie e proporre nuovi strumenti. Sollecitati da clienti sempre più esigenti e più ansiosi di poter avere all’interno delle proprie organizzazioni persone capaci di offrire risposte rapide ed efficaci alle problematiche a complessità crescente da affrontare. In questa direzione una delle innovazioni più rilevanti nel nostro campo è data dall’utilizzo della tecnologia nei percorsi di apprendimento, la quale già offre indubbi vantaggi (ad esempio fruibilità, riproducibilità di realtà complesse, economicità, ecc.), nonostante abbia ancora ampi margini di sviluppo.
E qui torno al metodo collegandomi ad una delle tante lezioni di Adriano Olivetti ancora oggi molto attuali, quella di porre e promuovere la visione umanistica e spirituale alla base dello sviluppo della tecnologia e del business, “fare della fabbrica un mezzo migliore di vita e di comunanza sociale” (A. Olivetti “Il mondo che nasce” Ed. di Comunità, pag. 34). La fabbrica come mezzo e non come fine, assegnando lo stesso valore alla tecnologia. Da un imprenditore che progettava e produceva tecnologia una bella lezione.
Quando si parla di sviluppo della persona così come delle organizzazioni ritengo sia importante porsi alcune domande essenziali prima di adottare strumenti e metodologie che vedo troppo spesso ritenuti validi in sé (ad es. coaching, mindfulness, serious game, VR, ecc. )e non rispetto all’obiettivo, al contesto o alla persona. Quali sono le finalità e gli obiettivi che si devono porre imprese, organizzazioni, e società intese come comunità in grado di generare valore e benessere economico e sociale? Di quali competenze si devono dotare per realizzare nel concreto tali obiettivi. In questo scenario : la tecnologia è un mezzo, un fine o entrambe? Scegliere una di queste risposte vuol dire percorrere sentieri e raggiungere mete completamente diverse anche nella formazione, anche in termini di efficacia.
In questo scenario ritengo che il mondo della formazione e più in generale dell’apprendimento abbia molto da dire e soprattutto da fare, basti solo pensare all’ormai evidente correlazione che c’è tra investimenti in formazione e ricerca e sviluppo nei paesi economicamente più solidi (Rapporto ISTAT 2018).