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Davide Caiazzo

Categories: AIF,Interviste

  

DAVIDE CAIAZZO

CEO My Governance

Lo Smart Working può avere un impatto positivo per entrambe le parti? Quanto è realmente diffuso ed efficace?

Seppure con un pò di ritardo rispetto a molti altri Paesi europei, l’Italia, con la legge n. 81/2017, si è dotata di una disciplina normativa che disciplina in maniera specifica lo smart working. L’approvazione di una legge, ovviamente, non basta in quanto occorre che vi sia uno scatto culturale da parte delle imprese e dei lavoratori.
Ciò che la business community deve fare è un vero e proprio sforzo culturale: occorre andare oltre il concetto classico di luogo di lavoro.

Nonostante la disciplina normativa non sia sufficiente a garantire un salto di qualità nell’accesso allo smart working, dobbiamo registrare un netto incremento degli accordi di smart working nell’ultimo periodo, come rilevato anche dallo specifico osservatorio messo in piedi dal Politecnico di Milano proprio con riferimento allo smart working.

Lavorare in modalità smart significa, semplicemente, rendersi conto che moltissime figure professionali possono realizzare il proprio lavoro anche al di fuori della sede aziendale con vantaggi reciproci per azienda e dipendente. L’azienda, dal canto suo, può ridurre il costo della struttura e può anche contare su una maggiore fidelizzazione del dipendente. E’ stato, infatti, dimostrato che il lavoratore al quale è lasciata la possibilità di lavorare anche da remoto è mediamente più produttivo e più soddisfatto del proprio impiego, esprimendo anche un maggiore engagement nei confronti dell’azienda.

Il dipendente può contare su una modalità di esecuzione del proprio lavoro maggiormente flessibile, evitare tempi spesso molti lunghi per raggiungere il luogo di lavoro e per tornare a casa e può concentrarsi meglio sui propri obiettivi professionali.

Occorre lavorare sul cambio culturale per far sì che lo smart working si diffonda ulteriormente e diventi una modalità del tutto alternativa al lavoro standard.

 

L’alternanza scuola-lavoro istituita in Italia da qualche anno, ha coinvolto milioni di studenti, avviandoli ad un’attività pratica, fornendo loro una prima esperienza di quel che li aspetta una volta giunti al termine del percorso di studi. Quali saranno le competenze richieste dalle aziende nel futuro mercato del lavoro? Cosa serve per facilitare il change management generazionale?

E’ fondamentale che la scuola, oltre a fornire una solida base culturale ed etico-morale agli individui, riesca anche a proiettare i giovani verso il mondo del lavoro. Per fare questo la scuola non può essere un mondo chiuso, autoreferenziale ed immutabile nel tempo ma deve tenere accese le antenne ed intercettare dove va la società, l’economia, il business. Solo in questo modo la scuola potrà proporre ai propri studenti percorsi di alternanza scuola/lavoro che possono fornire loro le competenze che, una volta finito il percorso di studi, verranno chieste loro nel mercato del lavoro.

E’ evidente che si sta assistendo in maniera molto accelerata al passaggio all’economia digitale. E’ quindi fondamentale che la scuola prepari gli studenti alle professioni più richieste nel mercato di lavoro di oggi e del prossimo futuro, ossia quelle legate alla digital economy.


 

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