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Domenico Barricelli

Categories: AIF,Interviste

  

DOMENICO BARRICELLI

Sociologo del lavoro, counsellor professionista e docente universitario

Che vantaggi può offrire la Gamification a livello esperienziale?

E’ indubbio il valore dell’apprendimento esperienziale, innanzitutto come metodo alternativo alla tradizionale modalità direttiva, che limita le possibilità, le potenzialità individuali e la capacità di confronto e scambio tra gli attori coinvolti nel processo di apprendimento (coordinatori-progettisti, docenti-formatori-facilitatori, discenti-partecipanti). Di conseguenza stanno da tempo emergendo metodologie e strumenti più partecipativi in grado di agevolare questo specifico apprendimento con l’intento di far crescere autonomia, responsabilità, capacità di lavorare in gruppo.

La gamification, ampiamente collaudata nel sistema scolastico giapponese, è stata utilizzata al fine di diminuire la dispersione scolastica dei giovani (gli abbandoni prematuri), rendendo più attraente l’istruzione con il risultato di contenere notevolmente l’elevata percentuale di abbandoni scolastici. La gamification è interessante poiché può aprire uno spazio di collaborazione e condivisione nel percorso di apprendimento, soprattutto con alcune fasce di partecipanti (le c.d. nuove generazioni). I formatori sicuramente devono confrontarsi con nuovi metodi e strumenti, ma soprattutto con una nuova e diversa modalità di generare apprendimento. Un apprendimento esperienziale che ricorre a nuovi strumenti e metodi più coinvolgenti (per rendere maggiormente attraente e piacevole l’acquisizione di nuove conoscenze e competenze), diretti ad aumentare l’engagement, ripensando anche alla qualità degli ambienti e degli spazi dove agevolare un apprendimento più efficace, attraverso il supporto e la facilitazione in presenza e lo scambio e confronto in rete.

 

Quali strategie un’azienda oggi può adottare per il Well-Being della persona?

L’evoluzione della società contemporanea ha generato una trasformazione sociale, culturale che ha inciso profondamente sui nostri stili di vita, anche organizzativi. Emerge una nuova rappresentazione dei bisogni sociali e individuali che mettono in evidenza l’importanza di re-integrare la dimensione emotiva, fino ad oggi schiacciata dalla supremazia del pensiero razionale economico. La condivisione (sharing), il confronto tra pari (peer-to-peer), l’accesso e l’utilizzo a conoscenze condivise (open source), offrono nuovi temi di interesse legati al miglioramento delle condizioni di vita, ma anche ad una mutazione morfologica del lavoro, sempre più caratterizzata dalla necessità di coniugare vita quotidiana (la cura di sé, degli affetti, dei propri familiari, etc) e vita lavorativa. Una nuova necessità che molte imprese hanno avviato positivamente attraverso lo strumento dello smart working, spesso impedito da vecchie pratiche di gestione organizzativa e manageriale.

Ci sono esperienze in atto significative, ma rimane molta la strada da percorrere per una più ampia diffusione e applicazione, in molti contesti aziendali e in molti territori; occorre per questo evidenziare il valore delle esperienze fin qui condotte per diffondere le ricadute positive in termini di motivazione, coinvolgimento (engagement) e responsabilità per la persona e di risultato complessivo per l’organizzazione. Ho sottolineato in una recente pubblicazione (Barbaro A. R, Barricelli D., L’armonia del cambiamento. Il ben-essere individuale e dei gruppi, Armando Editore, 2017) quanto sia importante coniugare vita e lavoro, spostando l’attenzione dalla richiesta spasmodica di prestazioni e performance alla ricerca di “prestazioni esistenziali”, che precedono lo sviluppo professionale. Molti responsabili (titolari, manager, etc.) dovrebbero abbracciare questa nuova cultura del lavoro, in grado di attivare capacità e competenze utili a favorire il c.d. work-life-balance, per offrire a lavoratrici e lavoratori la possibilità di coniugare la loro condizione di vita sociale con quella lavorativa.

Occorre per tali ragioni sviluppare nuove capacità in chi gestisce le risorse umane, le intelligenze, i talenti, e le potenzialità che oggi sono presenti nelle organizzazioni (ma spesso sottovalutate o mortificate), per superare l’ossessiva attenzione alle prestazioni, alle performance, alle misurazioni quantitative, e favorire l’emergere di ambienti in cui far crescere consapevolezza, autonomia, responsabilità, ricorrendo a sistemi di feedback descrittivi (e non valutativi). Un nuovo “patto del lavoro” orientato a migliorare e armonizzare ambiente lavorativo e sociale.

 

Quali competenze saranno richieste dalle aziende nel futuro mercato del lavoro?

Ho appena pubblicato un lavoro attorno all’annoso problema nel nostro Paese sul rapporto tra gli ambienti dell’istruzione e quelli lavorativi; riflessioni provenienti dal confronto tra le personali esperienze di consulenza e formazione aziendale e di docenza universitaria (Barricelli D., Work Life Balance. Progettare il proprio percorso di vita professionale, Aracne, 2019). Analisi determinata dalla consapevolezza di offrire un’interpretazione del mutamento e delle trasformazioni del panorama produttivo e dei contesti lavorativi, nel tentativo di ridurre le distanze tra il sistema dell’istruzione e il mondo del lavoro. Ma anche determinata dalla trasformazione del panorama economico e sociale, con organizzazioni che richiedono sempre più nuove capacità e nuove competenze per essere sempre più competitive in uno scenario globale. Competenze riconducibili alla capacità di risolvere problemi, lavorare in team, sviluppare creatività, con autonomia decisionale.

Agevolare l’acquisizione di queste specifiche competenze (del futuro, ma anche del presente) significa portare il sistema dell’istruzione e della formazione a confrontarsi con un nuovo tipo di apprendimento, a più dimensioni (“cognitive, sociali, emotive”), supportato da strumenti utili a proiettare gli individui (i giovani, gli studenti) in una dimensione progettuale di prospettiva professionale. E’ per questo che nelle mie esperienze di insegnamento ricorro sempre più da anni al metodo per progetti, per far lavorare gli studenti allo sviluppo di un proprio “project work” professionale e/o imprenditoriale. Un lavoro fatto in piccoli gruppi, che li porta ad esplorare ambienti lavorativi (a loro spesso sconosciuti), attraverso un percorso di studio e analisi desk, accompagnato da visite aziendali e/o testimonianze professionali e imprenditoriali. Un apprendimento, esperienziale, attivo, concreto, contestualizzato, che si affianca alle attività curriculari, bridge di collegamento tra gli apprendimenti formativi e i saperi praticati nel mondo del lavoro e delle professioni.

Il change management, in tal senso, può essere rappresentato dalla capacità di agevolare la capacità degli individui di formulare un proprio progetto di sviluppo professionale, con la consapevolezza che la crescita e il miglioramento personale appartiene sempre più all’individuo. Un approccio che vede il soggetto (studente e poi lavoratore) impegnato nella capacità di narrare la propria storia, nell’intento di costruire la propria identità (personale e professionale), per affrontare i frequenti cambiamenti e le continue transizioni con efficaci strategie di adattamento.


 

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