SANDRA CIARCIANELLISociologa della Comunicazione |
L’imprescindibile necessità del “Fattore umano”
Con il termine “Fattore Umano” si fa riferimento ad una molteplicità di aspetti e di argomenti di studio; negli Stati Uniti, ad esempio, viene utilizzato per indicare una disciplina che nel resto del mondo è identificata con “Ergonomia”, ovvero quella disciplina scientifica che studia le interazioni tra gli esseri umani e gli altri elementi di un sistema applicandone le teorie, i principi, i dati e i metodi per progettare al fine di migliorare il benessere umano.
Quando invece il fattore umano ha a che fare con i modi di essere ed agire dei gruppi sociali di individui, attraverso i comportamenti e gli aspetti psicosociali, ogni possibile previsione viene spazzata via: non c’è nulla che possa neutralizzare o presumere fino in fondo ciò che l’azione umana sarà in grado di attuare. Non esiste alcuna tecnologia così potente tanto da rendere inefficace l’azione dell’uomo, ragione per la quale, le scienze umane sono e resteranno, ancora per molto tempo, insostituibili.
Il sociologo Zygmunt Bauman sostiene che le scienze sociali si collocano a metà strada tra le scienze e l’umanesimo e oscillano tra due modelli teorici differenti, quello di Emile Durkheim e quello di Max Weber. Il primo positivista, applicava il metodo scientifico universale al regno dei fatti sociali da lui considerati realtà dal momento che ne determinano i comportamenti umani. Il secondo invece, anti-positivista, considerava la sociologia come una scienza, anche se diversa dalle altre che si occupavano della natura.
L’esperienza umana è il punto centrale della sociologia e delle scienze umane e le neuroscienze non possono essere di aiuto nel determinarla: i filosofi tedeschi la definiscono in due modi, Erfahrung (qualcosa che mi è successo) che può essere tracciato dall’esterno, ed Erlebnis (qualcosa che ho vissuto) che può essere descritto solo ed esclusivamente attraverso i pensieri e i sentimenti del soggetto agente. Ogni attività umana quindi sfugge a qualsiasi previsione, non tanto per la scarsità delle informazioni, quanto per le infinite possibilità e variabili che non possono essere calcolate all’infinito.
Se dal punto di vista epistemologico determinare e prevedere il fattore umano è una prospettiva impraticabile, è invece possibile quando si riferisce al lavoro, all’organizzazione e all’individuo che hanno influenza sul comportamento e le connesse conseguenze sugli obiettivi di salute e sicurezza. In questa variante il fattore umano permette di applicare un miglioramento del livello di affidabilità dell’operatore e anche più in generale del sistema all’interno del quale il singolo lavoratore opera, senza dimenticare la complessità di tutti gli elementi con i quali interagisce. Da ciò ne consegue la tendenza a ridurre la presenza di errori: gli studi sul fattore umano, in questa accezione, analizzano l’errore umano come il risultato di uno squilibrio tra le componenti del sistema uomo-macchina-ambiente che determina un cedimento dell’affidabilità dell’intero sistema anche nel caso in cui le singole componenti invece conservano un’elevata affidabilità.
Le ricerche sull’argomento si sono concentrate sull’analisi degli errori e sulle competenze cognitive denominate “non technical skills”, ovvero su uno studio multidisciplinare dei comportamenti delle capacità e delle limitazioni umane che influenzano l’individuo nei rapporti con un sistema operativo complesso per migliorare e ottimizzare le prestazioni umane.
Il fattore umano, e con esso l’errore umano, è parte integrante della condizione umana e dell’impossibilità di prevederne l’eliminazione totale, tanto meno modificarla, ma è tuttavia possibile intervenire sulle condizioni nelle quali l’uomo opera e lavora.