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Sandra Paserio

Categories: AIF,Interviste

  

SANDRA PASERIO

Coaching4U Coaching e facilitation for business e personal well-being

Che vantaggi può offrire la Gamification a livello esperienziale?

L’industria 4.0 è uno dei cambiamenti più sconvolgenti della nostra storia: una vera rivoluzione industriale, dove molte delle nostre competenze tecniche verranno rimpiazzate dall’intelligenza artificiale.

In un mondo dove le macchine prenderanno il sopravvento, saranno le soft skills a fare la differenza.

Si stima che 350 milioni di persone dovranno essere reskilled a causa del cambiamento culturale.

Servirà:
– Spirito critico, per comprendere le tecnologie;
– Iniziativa, per diventare sempre più digitalizzati;
– Creatività, per traghettare le aziende verso l’innovazione;
– Capacità di lavorare in team, per moltiplicare il valore dei singoli verso un’unicità d’intenti;
– Resilienza e flessibilità, per affrontare il cambiamento e trasformarlo in un nuovo compagno di viaggio.

Il World Economic Forum ha recentemente inserito l’intelligenza emotiva e il problem solving tra le due soft skills più ricercate nel 2020, insieme alla necessità di sviluppare il pensiero critico e il pensiero creativo.

Competenze che potranno essere acquisite con un riorientamento della cultura d’impresa e un rafforzamento della leadership. Un intervento strategico mirato da costruire col supporto di professionisti specializzati, per evitare di rientrare tra il 70% dei casi di change management falliti.

 

Quali strategie un’azienda oggi può adottare per il Well-Being della persona?

In un periodo di forte stress e cambiamento, il benessere psicofisico è fondamentale.

È il bilanciere che permette di generare l’energia positiva. L’ossigeno che alimenta l’ottimismo e la motivazione intrinseca. Il faro che migliora le relazioni e le nostre performance.

Ecco perché è importante che le organizzazioni misurino e implementino un buon sistema di wellbeing agendo sul clima aziendale, sull’ambiente di lavoro, sull’alimentazione, sull’attività fisica e sulle attività di svago.

Sicuramente il welfare aziendale e lo smart working sono un buon punto di partenza per le aziende in quanto:
– da una parte le stesse hanno la possibilità di mettere a disposizione dei propri collaboratori un paniere di beni e di servizi ad un costo ridotto;
– dall’altra, i lavoratori, possono godere di un vantaggio economico evidente dovuto ad un aumento del potere d’acquisto a cui si aggiunge, in presenza di smart working, l’opportunità di conciliare tempi di vita e di cura personale con quelli di lavoro.

Ma, welfare aziendale e smart working da soli non bastano per favorire il benessere psicofisico dei dipendenti. La soluzione potrebbe essere quella di inserire una figura che negli Stati Uniti ha già preso piede ed è pienamente riconosciuta: lo Chief Happiness Officer (CHO) ossia il manager della felicità. Un manager evoluto che si occupa della soddisfazione e del benessere psicofisico dei dipendenti con lo scopo di carpire i bisogni delle risorse umane e favorirne il ben-essere attraverso attività mirate. Una figura, ancora poco presente in Italia, e che, a mio avviso, potrà essere sostituita da psicologi e professionisti esterni specializzati in questo ambito.

Il loro compito sarà quello di aiutare il dipendente ad aumentare la consapevolezza interiore dei propri bisogni in un’ottica di miglioramento di risultati a favore di tutti gli stakeholders.

Insomma, un’equazione win-win dove un incremento di felicità della risorsa umana genererà una maggiore ed eccellente produttività aziendale.

Felicità che potrà essere raggiunta attraverso l’utilizzo di diversi strumenti, quali la mindfulness. Un potente strumento di promozione del benessere psicofisico per passare da uno stato di disequilibrio e sofferenza ad uno stato di percezione soggettiva di benessere dettato da una profonda conoscenza degli stati e dei processi mentali.

 

Quali competenze saranno richieste dalle aziende nel futuro mercato del lavoro?

Secondo il modello “70% – 20% – 10%” messo a punto da Morgan McCall e colleghi, solo il 10% di ciò che impariamo deriva da corsi formali o studio di materiali, il restante 90% deriva invece da un apprendimento informale. In particolare, il 20% viene appreso attraverso l’interazione con gli altri, mentre il 70% si apprende tramite l’esperienza.

Se da una parte si può quindi obbligare una persona a frequentare dei corsi di formazione, dall’altra non si può certo obbligarla a interagire o a fare esperienza in prima persona.

Per poter promuovere l’apprendimento e il coinvolgimento in modo attivo delle persone, ci serve mettere in moto il pensiero creativo utilizzando diversi sistemi. La Gamification è uno di questi. Attraverso il gioco si può agire:
– sul senso di fedeltà e di appartenenza del lavoratore;
– sull’attrazione e il mantenimento di nuovi talenti;
– sulla capacità di problem solving.

Secondo la Cognitive Evaluation Theory, una persona è più coinvolta quando è motivata intrinsecamente. Ma quando scatta la motivazione?

Da una parte, ritengo che scatti, quando sussistano degli elementi, quali:
– l’autonomia, per sentirsi liberi di compiere una scelta;
– la competenza, per sentirsi efficaci nel proprio agire;
– la relazione, per sentirsi connessi con gli atri.

Dall’altra, quando è presente una gratificazione. Una ricompensa che rafforzi un agire funzionale alimentando l’autoefficacia percepita. Punti, premi, classifiche, riconoscimenti. Tutto ciò che stimolerà i partecipanti ad essere sempre più attivi, performanti e connessi con gli altri.

Pensiamo ai social network e a come ci sentiamo quando vediamo aumentare velocemente i “like” sul nostro post o al sorrisino sulle labbra che appare ogni volta che vediamo che le persone commentano e condividono un nostro pensiero. Anche quello è il riconoscimento che ci fa sentire importanti, accettati e considerati dagli altri. Ma, quanto questo nostro benessere incide sui risultati aziendali?

La misurazione dell’engagement derivante dalla gamification è un altro tema che sicuramente non trova riscontro in una formulazione matematica. In qualità di business coach e agente di cambiamento, ritengo che gli strumenti, che è possibile utilizzare per la valutazione del ROI (Ritorno sull’Investimento) sono gli assessment. Strumenti validati scientificamente che permettono di valutare e tenere monitorato il successo e l’engagement di un’organizzazione, attraverso l’analisi dei suoi segni vitali predittivi: motivazione, lavoro in team, esecuzione, cambiamento e fiducia.


 

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