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Stefano Greco

Categories: AIF,Interviste

  

STEFANO GRECO

Psicologo, Formatore, Saggista

Che vantaggi può offrire la Gamification a livello esperienziale?

Le metodologie esperienziali coinvolgenti hanno sempre sofferto e soffrono ancora di un paradosso: sono troppo coinvolgenti in confronto alla “normale quotidianità” aziendale. Sicuramente stimolano un forte engagement sul momento e la scia emotiva dell’esperienza vissuta può rimanere anche a distanza di anni come piacevole ricordo. Tuttavia, ai fini delle applicazioni nel quotidiano e della concretezza dei comportamenti aziendali, la difficoltà d’uso emerge come caratteristica principale. Naturalmente, bisogna distinguere, sotto il grande cappello “formazione esperienziale”, le diverse tipologie di esperienze.

Ad esempio, oggi un business game ben ideato può risultare più utile di una giornata in barca a vela per manager che non hanno tra le loro priorità aziendali vincere trofei nautici. Oppure, a cosa serve vivere l’esperienza del dormire in una tenda nel deserto se al rientro in azienda ritrovo i problemi di sempre? Quando ragioniamo di formazione esperienziale, in generale, l’ideale è far coincidere il grado di interesse delle persone (engagement) con la facilità di utilizzo e di applicazione in azienda dell’esperienza vissuta. Ma è, appunto, un ideale. Accontentiamoci del buon ricordo nel tempo.

Quando ragioniamo di formazione esperienziale, in generale, l’ideale è far coincidere il grado di interesse delle persone (engagement) con la facilità di utilizzo e di applicazione in azienda dell’esperienza vissuta. Ma è, appunto, un ideale.

Accontentiamoci del buon ricordo nel tempo.

 

Lo Smart Working può avere un impatto positivo per entrambe le parti?
Quali strategie un’azienda oggi può adottare per il Well-Being della persona? Quanto è realmente diffuso ed efficace?

Si come risposta alla prima domanda. Tutto ancora da verificare per la seconda. L’impatto positivo dello smartworking lo vedo nel traguardo raggiunto della “libertà del lavoro”. Sulla “libertà dal lavoro”, forse un giorno i robot ci aiuteranno… Sicuramente lo smartworking persegue l’obiettivo della conciliazione dei tempi di vita e consente autonomia gestionale nello svolgimento delle attività. Tuttavia, rimane da verificare se quella libertà del lavoro sia uguale per tutti gli smartworker. Credo che molti lavoratori siano ancora in modalità telelavoro, ovvero esecutori di compiti senza troppi margini di autonomia né di creatività. In ogni caso, se non è sinonimo di sfruttamento, ben venga lo smartworking. Una modalità di lavoro che innesca circoli virtuosi: riesco a prendermi cura del mio tempo, quindi sono più soddisfatto, quindi più produttivo, quindi più affezionato all’azienda…

 

Quali competenze saranno richieste dalle aziende nel futuro mercato del lavoro?

Da un lato, le competenze richieste saranno quelle di sempre, ovvero tutte quelle legate alla domanda: “Perché dovremmo scegliere proprio lei?”.

Dall’altro, nuove competenze legate al digitale come ad esempio il digital writing, al saper connettere diversi campi del sapere e saper “contaminare” in chiave creativa e produttiva persone, ambienti e scopi molto diversi tra loro. Competenze legate all’intelligenza artificiale, come interagire con lei, come utilizzarla nel business e nei contesti organizzativi, come promuoverla nel sociale, come indirizzarla verso un futuro sostenibile, come “allenarla” attraverso programmazioni, dati, algoritmi insegnandole ad apprendere. Non solo formazione formatori ma anche formazione IA: dalle slide alle connessioni di reti neurali.

Il salto è quantico. Riguardo il change management generazionale, la soluzione può essere il mentoring reciproco: ognuno insegna all’altro i punti di vista e le competenze della propria generazione. Più allineati di così…!


 

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