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Giovanna Varani

Categories: AIF,Interviste

GIOVANNA VARANI

VARANI GIOVANNA
Laureanda alla magistrale di Scienze dell’educazione permanente e della formazione continua di Bologna

L’innovazione tecnologica sta trasformando le relazioni umane, e il cambiamento è stato percepito anche all’interno delle organizzazioni e delle aziende con cui collaboriamo. La formazione deve innovare metodi, strumenti e spazi al fine di valorizzare la persona in un contesto sempre più digitalizzato. Quali sono i principali cambiamenti da realizzare? Il cambiamento porta con sé elementi positivi? e quali?
Le nuove tecnologie fanno ormai parte della nostra quotidianità, in ogni suo contesto, e di conseguenza anche i rapporti umani che instauriamo ne sono influenzati. Soprattutto in ambito lavorativo, l’innovazione tecnologica ha rappresentato, rappresenta e rappresenterà un’occasione di evoluzione. Tuttavia, può essere anche un momento di smarrimento se non usata in modo consono. È un cambiamento e come tale deve essere affrontato: non basta seguirne il corso e accettarne le conseguenze in modo passivo. Al contrario, è necessario porsi con proattività e con uno sguardo “a tutto tondo”, affinché emergano sia i lati positivi sia quelli negativi. Solo in questo modo, a mio avviso, è possibile avere in mano la situazione e lavorare sugli aspetti negativi mentre si sviluppano quelli positivi. Nella formazione penso che la tecnologia stia portando notevoli miglioramenti in termini di tempo e risorse. Al giorno d’oggi è possibile essere connessi gratuitamente con persone anche dall’altra parte del mondo utilizzando piattaforme e software, come per esempio Skype, che permettono di fare conferenze, colloqui o corsi di formazione. Questa sicuramente è una grande possibilità, che permette di abbattere la lontananza e promuovere un legame oltre la distanza fisica. Ovviamente è fondamentale tenere aperto un occhio critico per non rischiare di banalizzare le occasioni di questa innovazione e non intaccare i processi e i progetti in formazione.

 

I sistemi di intelligenza artificiale sono in grado di imparare prospettando nuove forme di vita, cioè entità sensienti di cui non possiamo prevedere, né tanto meno guidare, lo sviluppo. Come questo processo di rapido sviluppo tecnologico, che riguarda la produzione dell’intelligenza collettiva si può legare a etica e valorizzazione della cultura nei processi organizzativi aziendali? In che modo la formazione può supportare la persona affinché possa contribuire all’innovazione senza subirla passivamente?
Spesso si parla di intelligenza collettiva, che trovo una bella espressione in quanto esprime molto bene un aspetto dell’intelligenza per me fondamentale: la condivisione e l’interconnessione con gli altri. Tuttavia, quando l’innovazione viene subita senza esserne protagonisti c’è il rischio di cadere in una massificazione di idee fino ad annientarne le fondamenta: l’originalità e la creatività. Questo fenomeno si rileva anche nei processi organizzativi aziendali, in cui questo tipo di intelligenza dovrebbe essere ancora di più motivo di promozione culturale nella condivisione, nella trasparenza e nel modo più etico possibile. Purtroppo non è sempre così, perché capita soventemente che il repentino cambiamento tecnologico sovrasti le persone, che quindi si dimostrano non essere in grado di gestirlo al meglio. Per questo motivo, il ruolo della formazione diventa fondamentale: è importante affiancare le persone, dai cosiddetti “nativi digitali” ai fin troppo confidenti con la tecnologia, affinché diventino consapevoli delle potenzialità dell’innovazione tecnologica ma anche dei suoi rischi.
Uno dei pericoli più imminenti è quello di una sostituzione totale del fattore umano con quello tecnologico. Per quanto dei sistemi di intelligenza possano essere prestanti, non potranno mai sostituire l’intelligenza umana, composta da poliedrici aspetti come possono essere l’intuito e la inventiva.

 

Ieri hai detto domani. Oggi i giovani sono il futuro della nostra società, la crisi e la scarsità di investimenti rischiano di contrapporre la dimensione personale della realizzazione del sé a quella della competitività delle imprese e dei territori. In che maniera la formazione potrà far conciliare questi due estremi enfatizzando i valori strategici dell’impresa con la valorizzazione della persona nella sua essenza? In che modo la formazione può costruire una situazione ideale in azienda generando entusiasmo e partecipazione?
Da giovane posso dire che aleggia della negatività tra i miei coetanei rispetto al futuro, spesso motivata dal fatto che si hanno meno certezze rispetto al passato. Spesso le aziende richiedono a noi giovani di avere già diverse esperienze pregresse e per questo talvolta è difficile iniziare ad averle. Però, appunto per questo motivo, penso sia ancora più importante avere un po’ di positività -senza cadere nell’ingenuità- per affrontare al meglio un tipo di lavoro in cui la flessibilità è fondamentale. Secondo me, in questa panoramica, la formazione ha un ruolo principe nel dare il giusto ritmo a questi due aspetti. Infatti si tratta di bilanciare da un lato l’impresa, quindi adottare le migliori strategie per il raggiungimento di tutti gli obiettivi con efficienza ed efficacia, e dall’altro dare valore a tutta la globalità della persona. Ognuno di noi ha un’essenza, che non sempre riesce ad emergere, oppure viene sopita a tal punto da nascondere quel “quid” che ci renderebbe unici per l’azienda. Per dare valore a un’azienda è altresì importante valorizzare chi ci lavora perché è l’unico modo per dare vita all’entusiasmo e alla partecipazione attiva, affinché i lavoratori possano dare quel famoso valore aggiunto. La formazione diventa quindi protagonista in questo processo di integrazione tra quella che è la complessità di un’azienda e ciò che la rende una realtà viva: le persone.

 

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