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Fabio Palombi

Categories: AIF,Interviste

  


FABIO PALOMBI


Funzionario della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile – Progettista didattico
Professore a contratto Università di Sassari – Corso di Laurea in Sicurezza e cooperazione internazionale – materia Disaster Management

Quest’anno la riflessione che vorremmo proporre riguarda il nostro lavoro quotidiano e più nello specifico tre parole:
 
La prima parola è sentiero, inteso come percorso quotidiano di sviluppo e conoscenza.

“Fare buone scelte in situazioni incerte e complesse”. Quando ci si trova a dover valutare comportamenti a fronte dell’incertezza delle situazioni forse più che parlare di “buone scelte” sarebbe preferibile parlare di “scelte accettabili”. Le società occidentali, attraverso i loro modelli di sviluppo, i loro modelli sociali e i sistemi lavorativi si stanno sempre più conformando alle modalità di pensiero dicotomico. Si o no. Giusto o sbagliato. Bello o brutto. Buono o cattivo.

Questo tipo di atteggiamento sta portando l’uomo del ventunesimo secolo a perdere di vista la fragilità intrinseca della propria esistenza, del proprio posizionamento all’interno dei sistemi sociali. La vulnerabilità come uomini ci è stata, purtroppo, ricordata proprio in questi ultimi mesi dalla pandemia del Covid-19. Un’entità biologica non completamente autonoma, infinitesimamente piccola ma capace di estinguere una intera specie dalla faccia della terra. Eppure la sfacciataggine dell’uomo moderno, la sua arroganza e la convinzione di esercitare sempre e comunque scelte considerate giuste ci insegnano, come in questo caso di pandemia, che non sempre le scelte sono giuste. E, talvolta, non è neppure possibile compiere scelte giuste. E allora, quando ci si trova di fronte all’incapacità di compiere scelte giuste, in modo quasi automatico si tende a considerare qualsiasi altro tipo di scelta come sbagliata. E questo, porta conseguentemente, a perdere di vista l’importanza e la necessità comunque di operare delle scelte. E motivare, giustificare, argomentare una scelta non giusta, ma come la più accettabile diventa impresa improba. Ecco quindi che il mondo del lavoro tutto, non solo quello delle aziende, deve iniziare a intraprendere un faticoso sentiero di rivalutazione degli atteggiamenti di chi investe il proprio ruolo a qualsiasi livello. Dal decisore all’esecutore.

La formazione e l’aggiornamento professionale devono potersi aprire, ancora di più di quanto fatto fino ad ora, a modificare i comportamenti di valutazione, di reazione, di interazione incentrando gli sforzi sulle capacità relazionali, sulla negoziazione, sulla capacità di accettazione e sulla facilitazione.

 
La seconda chiave è il qui ed ora, la consapevolezza, intesa come conoscenza delle proprie competenze.

Il “saper essere” è davvero il paradigma che sostiene tutta l’impalcatura del mondo del lavoro? Quanto, questo concetto, viene tenuto in considerazione nel mondo delle aziende? E in che misura in quelle a carattere privatistico piuttosto che quelle pubbliche? La cultura organizzativa nel mondo del lavoro non può prescindere dalla consapevolezza. Consapevolezza dell’individuo di inserirsi in un processo produttivo in cui l’obiettivo del maggior profitto è declinato nei termini di servizio reso, di valorizzazione della risorsa umana, delle relazioni sociali.

L’expertise, basata su competenza e professionalità, da sola è sufficiente in una visione pleonastica del mondo del lavoro, ma per un reale miglioramento della cultura organizzativa si rende necessario un affrancamento dall’interpretazione classica del lavoro inteso come la capacità di modificare il valore d’uso delle merci o di fornire servizi, generando la ricchezza materiale e non materiale che mantiene la società. Le tecniche meditative possono sicuramente incoraggiare uno sviluppo armonico dei processi in cui l’attenzione viene posta sulla mutevolezza delle condizioni, sull’immaterialità dei beni e sulla consapevolezza di un ruolo che non è più statico, immutabile e rigido, ma dinamico e proiettato verso l’integrazione, l’interazione e la condivisone dei rapporti.

 
Infine il cardine su cui si svolge la nostra vita, anche professionale, l’alleanza.

Integrazione, interazione e condivisione dei rapporti come atteggiamenti di cooperazione e collaborazione tra gli individui. L’alleanza delle idee, la libera circolazione del pensiero, l’apertura verso nuove frontiere culturali rappresentano una delle possibili strategie per agevolare la formazione dei giovani nell’ingresso nella dimensione organizzativa del lavoro. La visualizzazione del bene comune come priorità per oscurare definitivamente la visione individualistica del tutto subito, ad ogni costo. Il nuovo risorgimento e la new age culturale potranno essere i grimaldelli per ridisegnare la società di domani. Le esperienze tristi e deludenti che i giovani da sempre vivono e che mortificano gli impulsi e le speranze sono amplificate oggi dall’abbattimento delle frontiere analogiche e, di conseguenza, il ruolo degli educatori (o formatori) diventa ancora più complesso. Non far perdere di vista che l’uomo è, per sua natura, un animale sociale e quindi, come sosteneva Darwin, “deve vivere in una società incentrata su un sentimento di scambievole amore”. La vera alleanza sarà quella tra le generazioni che si contendono le nicchie ecologiche del vivere sociale.

Impossibile immaginare che le nuove generazioni sappiano recuperare il significato dei valori se le generazioni che le precedono non sapranno con loro condividere gli spazi, le esigenze, gli obiettivi. L’alleanza sarà quella in cui le generazioni più anziane (formatori) si faranno carico di stabilire un patto fiduciario con quelle nuove (discenti) avendo il coraggio di riconoscere i propri errori per dispensare nuove energie e rinnovato convincimento che il mondo, questo mondo, può cambiare. In meglio.


 

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