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Quest’anno la riflessione che vorremmo proporre riguarda il nostro lavoro quotidiano e più nello specifico tre parole:
La prima parola è sentiero, inteso come percorso quotidiano di sviluppo e conoscenza.
Amo molto camminare, soprattutto in montagna, e i sentieri sono una metafora formidabile per capire sé stessi, la pazienza, il passo dopo passo vero la meta.
Una percorso, quello individuale, che le aziende spesso non ascoltano, non conoscono e di cui importa poco. Non vorrei dare una visione negativa, in alcuni casi, ma sono pochi, vi è una reale attenzione alle persone e una ricerca di percorsi “inusuali” sia formativi che all’interno del contesto organizzativo.
Troppe invece sono ancora le trappole dei sentieri verticali, senza possibilità di uscita dalla funzione a cui si è approdati inizialmente, l’obbligo della carriera, i sistemi premianti stereotipati, tutto costruito su una “idea” delle persone e non sulle loro reali aspirazioni e motivazioni.
Un tema che incontro frequentemente, ad esempio, è quello di donne arrivate anche a posizioni interessanti che lasciano e cercano altrove la loro potenziale realizzazione.
Non sarebbero possibili sentieri diversi?
La seconda chiave è il qui ed ora, la consapevolezza, intesa come conoscenza delle proprie competenze.
Che fatica la consapevolezza! Bisogna saper affrontare il bias fondamentale quello che fa si che ciascuno di noi si senta migliore degli altri, il giustificare i propri comportamenti restando giudici inflessibili per quelli altrui…
Fatica indispensabile, per le persone, le organizzazioni e la società. E la consapevolezza è in primo luogo la connessione con il proprio corpo, con il proprio limite, con il respiro che sostiene il distacco dalla propria egocentrica centralità.
Che si chiami mindfulness, che sia “somatic coaching” come quello che ho seguito con Strozzi, oppure tai chi, o yoga: i percorsi possono essere molti, ma hanno un punto in comune: ricomporre l’intero spezzato tra mente e corpo. Ritrovare la persona nella sua unicità e nella capacità di ascolto in primo luogo di sé stessi, per poi capire gli altri.
Infine il cardine su cui si svolge la nostra vita, anche professionale, l’alleanza.
L’alleanza, soprattutto con i giovani, richiede coerenza. In una intervista ad un giovanissimo per il libro “Generazioni in azienda” mi raccontava la sua “infedeltà” aziendale. Lui la giustificava con l’impatto che aveva avuto, come tutti i suoi amici, con le organizzazioni: apprendistato, contratti a tempo determinato, insomma il solito faticoso percorso a cui sono sottoposti i nostri giovani. Come dargli torto?
L’alleanza non si costruisce con i filmati istituzionali e i depliant patinati, ma con la correttezza di un rapporto adulto, in cui si evitano di prendere in giro i giovani con un precariato infinito.
Poi magari non basta e l’idea di alleanza che abbiamo noi senior è diversa dalla loro. Proviamo a chiederglielo, anche nelle attività formative.
Una percorso, quello individuale, che le aziende spesso non ascoltano, non conoscono e di cui importa poco. Non vorrei dare una visione negativa, in alcuni casi, ma sono pochi, vi è una reale attenzione alle persone e una ricerca di percorsi “inusuali” sia formativi che all’interno del contesto organizzativo.
La seconda chiave è il qui ed ora, la consapevolezza, intesa come conoscenza delle proprie competenze.
Infine il cardine su cui si svolge la nostra vita, anche professionale, l’alleanza.