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Quest’anno la riflessione che vorremmo proporre riguarda il nostro lavoro quotidiano e più nello specifico tre parole:
La prima parola è sentiero, inteso come percorso quotidiano di sviluppo e conoscenza.
Quali sono le motivazioni e gli interessi che mi hanno spinto in passato e che mi orientano tutt’ora ad intraprendere un nuovo percorso formativo e/o professionale? Prima di rispondere a questa domanda è necessario porre in essere una premessa metodologica.
I contributi sugli studi e sulle teorie dell’apprendimento sugli adulti – all’interno dei quali è doveroso annoverare tra le più determinanti l’Andragogia di Malcolm Knowles e gli Stili di Apprendimento di David Kolb – confermano che i criteri di scelta messi in atto da un adulto che decide di intraprendere un percorso formativo spiccano la componente motivazionale e la spendibilità di ciò che l’adulto apprende, sovente orientata verso un qualcosa che è utilizzabile sia nella propria attività lavorativa che nel quotidiano.
Non da meno presupposti come la motivazione, la ricompensa, il riconoscimento e la gratificazione per ciò che si sta facendo o si farà unitamente al concetto di identità del sapere, saper essere e saper fare, implicano che il ciclo di apprendimento nell’adulto e di miglioramento interiore non è un processo statico ma è orientato verso una dimensione dinamica “lifelong learnig” e “lifewide learning”, che si concretizza all’atto pratico con in saper divenire, in un processo di cambiamento attivo e costante dell’ adulto.
Questi presupposti teorici sono necessari per analizzare obiettivamente l’analisi delle tre tematiche del sentiero, della consapevolezza e dell’alleanza nei quali la scelta di intraprendere un percorso formativo trova la scaturigine primariamente nella motivazione personale in cui si riflette – per vero – anche una spendibilità della scelta fatta sul percorso lavorativo personale e professionale che sia in grado di generare un cambiamento in senso migliorativo e di crescita della prospettiva lavorativa, arricchendo il patrimonio umano ed esperienziale.
Comprensione, motivazione, parola, azione, vita, sforzo, consapevolezza, concentrazione sono gli otto fattori che costituiscono l’essenza della vita buddhista. Il sentiero è un percorso in salita e in discesa, sicuro o insicuro. In questo momento storico più che mai, ritengo che al di là delle singole credenze e degli stili di vita, tutti questi fattori incidano sul percorso individuale. I singoli percorsi sembrano non unirsi, invece sono estremamente connessi e determinano il vivere a questo mondo. Ritengo che una maggior consapevolezza di sostenibilità, nell’accezione completa della parola, nei percorsi collettivi possa contribuire a migliorare l’umanità.
Pensando ad un sentiero, alla ontologia del concetto, ne visualizzo uno vero e proprio di montagna, nel quale i raggi del sole filtrano tra i rami, con il profumo del bosco misto al muschio… un sentiero tortuoso e faticoso, con delle asperità, senza dubbio, con la rugosità delle radici degli alberi che emergono dal terreno e la difficoltà legata all’altezza della latitudine montana; un percorso che postula – per chi decide di percorrere quel sentiero – sfida, fatica, energia, imparare a respirare ma anche pause di riposo per carburare e ripartire più forti per arrivare diretti alla meta, bella ed avvincente nel risultato.
Io sono così, quando scelgo di percorrere un “sentiero” formativo ci metto tutto il mio impegno, entusiasmo, positività, costanza, senza lesinare energie fisiche ed intellettive, cercando di attribuire alle possibili difficoltà in itinere, una valenza didascalica per reagire e per ricavarne ulteriori energie e forze, prendendomi anche delle pause di riflessione per scegliere con i giusti tempi e per capire quale possa essere il momento idoneo per ripartire…in vista del conseguimento della meta prefissata.
In ambito lavorativo questo si concretizza nell’amare ciò che si fa o si sceglie di fare, amare il proprio lavoro e, nello specifico nella mia attività, lavorando a contatto quotidianamente con la sofferenza e in un momento difficile come questo attuale dell’emergenza sanitaria del Covid, decidere tutti i giorni può seriamente metterti a dura prova…la stanchezza, la fatica, il dolore, la mascherina che stringe e ti segna il volto, il camice idrorepellente o la tuta che ti fa sudare, le ore in piedi, i turni, le festività non passate con gli affetti più cari, le notti insonni a correre dietro agli allarmi dei monitor o i dei respiratori, i parenti che aspettano fuori, la morte …un impatto emotivo forte che può portare a momenti di crisi, di accumulo di stress, al burn-out… ascoltare e saper ascoltare noi stessi e chiedere aiuto quando si arriva ad un limite ma allo stesso tempo ripensare al sentiero e non perdere mai la rotta anche se il sentiero è disseminato di molte radici.
La seconda chiave è il qui ed ora, la consapevolezza, intesa come conoscenza delle proprie competenze.
La caratteristica del delicato argomento sulla consapevolezza mi permette di ricollegarmi all’aspetto e alla riflessione conclusiva emersa dall’argomento del sentiero.
La professione infermieristica è sicuramente più a rischio di sviluppare la sindrome del burn-out ma senza addentrarmi troppo su questa tematica, già ampiamente affrontata da studi e ricerche passate e tutt’ora in corso grazie anche al prezioso contributo degli psicologi del lavoro, primariamente va studiato e curato attentamente l’assetto organizzativo e dirigenziale che deve essere orientato al benessere del proprio personale attraverso l’ottimizzazione dei flussi di lavoro (protocolli, organizzazione del workflow, rapporti e comunicazione con l’esterno del proprio reparto…) e dei servizi ausiliari cui possono beneficiare quali dipendenti (corsie preferenziali in servizi, agevolazioni, baby sitting …), in tutti gli ambiti lavorativi ma ancor di più nel contesto sanitario.
Sicuramente anche le tecniche come la Mindfulness o un supporto con un Coaching professionale possono contribuire a rendere edotti e più partecipi i dipendenti verso gli obiettivi aziendali a medio e a lungo termine. Tutto questo può aiutare i professionisti sanitari, e gli Infermieri in particolare, ad acquisire una maggior consapevolezza di se stessi, ad un’analisi introspettiva ed approfondita e ad un potenziamento delle soft skills e non solo delle hard skills per mantenere una motivazione verso il proprio lavoro su livelli medio-alti, un maggior incremento delle performance lavorative e dunque il raggiungimento di un benessere soggettivo a livello lavorativo.
Infine il cardine su cui si svolge la nostra vita, anche professionale, l’alleanza.
In qualsiasi contesto lavorativo, ma ancor di più nell’ambito sanitario, l’alleanza è determinante. In primis nella accezione di collaborazione in equipè multidisciplinare. Lavorare in solitaria è faticoso e soprattutto deprimente. Nel processo di cura, la collaborazione e la condivisione tra le diverse figure professionali nel raggiungimento di un unico obiettivo quale è la guarigione del paziente, è fondamentale!!! Non è una competizione tra professionisti poiché ognuno con le proprie peculiari competenze è importante ed integrandosi con gli altri, contribuisce alla cura. L’Infermiere, il Medico curante, l’Anestesista-Rianimatore, il Fisioterapista, il Tecnico Sanitario di Radiologia Medica, il Dietista, il Tecnico di Laboratorio, l’Ausiliario Socio Sanitario, il personale di supporto tecnico, il personale delle pulizie ecc…costituiscono grazie alla loro interconnessione organizzata ed alle loro proprie competenze, un vero essere vivente e pensante, fatto di persone, di professionisti che agiscono per il funzionamento e la vitalità dell’organizzazione stessa. In un contesto lavorativo in crescita, di fondamentale importanza è l’inserimento delle nuove leve; questa esigenza ed urgenza si è resa notevolmente più evidente proprio in seguito all’emergenza sanitaria del Covid che ha comportato una maggior richiesta di personale medico, infermieristico ed ausiliario.
Nello specifico, nella categoria infermieristica, sono state anticipate le sedute di Laurea degli studenti proprio per poterli inserire subito in un contesto lavorativo critico, frenetico, in cui può capitare, senza nulla togliere alla preparazione del neo assunto, che quest’ultimo si senta spaesato, gettato nella mischia senza neanche un seppur minino prodromico intervento d’ inserimento. E’ proprio su questa dimensione che si rende necessario individuare una figura di riferimento stabile quale è il Tutor, il professionista più esperto che deve rendere partecipe con un processo di condivisione anche l’ultimo arrivato e questo per una duplice spendibilità che porterà giovamento ad entrambi: da un lato il neo assunto potrà sentirsi ben inserito e consapevole del ruolo e dell’importanza del contesto lavorativo, lo farà sicuramente lavorare meglio e con maggior entusiasmo mentre dall’altro lato il collega/tutor “anziano” si sentirà più gratificato e più motivato nell’aver contribuito all’inserimento del collega, con una integrazione sinergica di conoscenza ed esperienza. Per me che svolgo anche un’attività di tutorato, è vero che la fatica è doppia ma sicuramente la gratificazione che ricevo supera di gran lunga la fatica nel duplice lavoro che svolgo; da una parte devo essere vigile, presente e attenta nell’attività che sto svolgendo ma dall’altra devo anche controllare ciò che sta facendo il neo assunto a me affidato poichè un errore di distrazione potrebbe essere fatale.
Oltre all’importanza della figura professionale del tutor in ambito organizzativo, un approccio teorico/ pratico e formativo ci viene suggerito dalle “Comunità di Pratica” di Etienne Wenger. Le Comunità di pratica, definite come gruppi di persone che condividono un interesse o una passione per qualcosa che fanno e che interagiscono con regolarità per imparare a farlo meglio, nascono come un’aggregazione spontanea di persone che, nelle organizzazioni, si costituiscono attorno a pratiche di lavoro comuni sviluppando solidarietà sui problemi, condividendo scopi, saperi pratici, significati e linguaggi. L’ approccio migliore della comunità di pratica è senza dubbio l’aspetto della partecipazione periferica legittima in base alla quale anche i membri più giovani e meno esperti, più periferici del gruppo, sono pienamente legittimati dall’appartenenza alla comunità, a condividerne le risorse e le esperienze, a partecipare alle discussioni, a interagire su un piano di parità con i più esperti, realizzando in tal modo un vero e proprio apprendistato cognitivo.
I contributi sugli studi e sulle teorie dell’apprendimento sugli adulti – all’interno dei quali è doveroso annoverare tra le più determinanti l’Andragogia di Malcolm Knowles e gli Stili di Apprendimento di David Kolb – confermano che i criteri di scelta messi in atto da un adulto che decide di intraprendere un percorso formativo spiccano la componente motivazionale e la spendibilità di ciò che l’adulto apprende, sovente orientata verso un qualcosa che è utilizzabile sia nella propria attività lavorativa che nel quotidiano.
Io sono così, quando scelgo di percorrere un “sentiero” formativo ci metto tutto il mio impegno, entusiasmo, positività, costanza, senza lesinare energie fisiche ed intellettive, cercando di attribuire alle possibili difficoltà in itinere, una valenza didascalica per reagire e per ricavarne ulteriori energie e forze, prendendomi anche delle pause di riflessione per scegliere con i giusti tempi e per capire quale possa essere il momento idoneo per ripartire…in vista del conseguimento della meta prefissata.
La seconda chiave è il qui ed ora, la consapevolezza, intesa come conoscenza delle proprie competenze.
Infine il cardine su cui si svolge la nostra vita, anche professionale, l’alleanza.